La fermentazione nella storia 1: "Bolle per sua natura!"
Dopo aver parlato di fermentazione in generale, soprattutto sul ruolo dei lieviti (qui e qui), vi invito in un piccolo viaggio nella storia, alla scoperta di cosa si pensava nel passato a proposito di questo cruciale passaggio e come si è arrivati a comprenderlo.
La fermentazione è utilizzata dall'uomo da almeno 10.000 anni nella sua alimentazione, dal vino alla birra, dal pane allo yogurt, al formaggio... Tuttavia per millenni l'umanità lo ha fatto in modo inconsapevole, senza sapere cosa succedesse e perché, a parte il risultato finale.
La parola è antica, deriva dal latino fermentum, dalla radice del verbo fervere che significa muoversi, bollire. Nasce dall'osservazione di quanto succede in modo chiaramente visibile durante il processo: il pane lievita, si gonfia e si espande, il vino (o la birra) bolle.
Ma cosa pensavano nel passato di questo fenomeno?
Se cerchiamo dei riferimenti nei testi agrari , dall'antichità all'Ottocento, non si parla o non ci si chiede granché sul perché e come succede. Piuttosto si trovano indicazioni di lavoro pratico, utili a favorire il processo. Questo è naturale: i testi agrari nel passato erano per lo più rivolti ai lavoratori delle campagne di un certo rango, in particolare ai fattori. Nelle epoche più antiche si ignora del tutto il problema (almeno, per quanto ci è dato sapere). Nei testi del Sette-Ottocento si liquida la faccenda con la frasetta: "(il mosto) bolle per sua natura". Quindi, succede e basta, non stiamo a chiederci il perchè! Queste domande erano lasciate più ai filosofi e poi agli scienziati, che però incontreremo più tardi.

Uno dei testi agrari più dettagliati dell'antichità è il De re rustica di Columella (65 d.C.), in italiano "Sull'agricoltura", che raccoglie la summa di tutte le conoscenze agricole romane (qui riassunte con quelle etrusche). E' un testo così ben fatto e preciso da essere considerato dagli esperti il primo vero e proprio trattato agronomico della storia. Fu così importante da rimanere come principale riferimento per l'agronomia fino al Settecento!
Lucio Giunio Moderato Columella è vissuto nel 1° secolo dopo Cristo, originario di Cadice (l'attuale Spagna). Dopo una prima carriera militare in Siria, si ritirò alla vita agraria nelle sue tenute nel centro Italia. Racconta di essere stato influenzato nel suo interesse per l'agricoltura dallo zio, Marco Columella, che egli descrive come uomo astuto e grande fattore. Quindi i suoi scritti non sono solo un'opera letteraria (come altri testi sull'agricoltura dell'epoca) ma derivano dell'esperienza diretta, oltre che da una mente curiosa e che appare già molto scientifica.

Columella ama molto la vita agricola che ritiene moralmente più sana di quella di città, come racconta nella sua opera. Secondo lui l'agricoltore deve gestire direttamente la proprio azienda e deve avere un'ottima preparazione sul suo lavoro, basato sullo studio di testi validi. Mostra una particolare sensibilità (rispetto ai suoi tempi) sull'uso di manodopera servile. Secondo lui gli schiavi che lavorano nei campi devono essere trattati con umanità e famigliarità, oltre che consultarli sui lavori agricoli.
Nelle parti dell'opera dedicati alla vinificazione (molto più ristrette dello spazio offerto alla parte dei lavori in vigna) , scopriamo che anche Columella sorvola elegantemente su quanto succede nell'intima oscurità del dolium in fermentazione (il dolium è il vaso in terracotta in cui facevano la vinificazione). Eppure dà molti consigli sensati (alla luce delle nostre conoscenze odierne) su come lavorare per far sì che il tutto vada a buon fine. In particolare insiste sulla necessità di assoluta pulizia della cantina e degli attrezzi di lavoro, soprattutto dei contenitori dove verrà messo il mosto e il vino. Oggi infatti sappiamo che l'igiene è il primo requisito fondamentale per produrre un buon vino, per evitare d'inquinarlo con certi microrganismi responsabili di tanti gravi problemi, dall'acetificazione ai cattivi odori alla torbidità, ecc.
Columella ricorda (come fa anche oggi ogni buon cantiniere) che la preparazione alla vendemmia deve iniziare almeno un mese prima, con l'accurata pulizia di ogni attrezzo. Ricorda anche che il torchio deve essere pulito per bene dopo ogni uso. “La cantina si mondi da ogni sterco, profumandola con buoni odori, così che non sia offesa da odore puzzolente o agro. …” (i testi sono tratti dall'edizione del 1564, tradotta dal latino da Pietro Lauro Modonese).

I dolia (vasi in terracotta in cui avveniva la vinificazione), interrati e no, devono essere puliti e preparati raschiando lo strato interno di pece dell'anno precedente, dopo averlo ammorbidito col calore, e poi accuratamente impeciati di nuovo.
I consigli che seguono riguardano soprattutto indicazioni di “condimenti” da aggiungere al vino (resina, acqua di mare, ecc.) per la conservazione del vino. Ricordiamo che comunque i vini dell'antichità erano ben diversi da quelli odierni. I problemi di vinificazione facevano sì che presentassero gusti che oggi consideriamo difetti. L'uso comune di servirli miscelati con acqua, aromi, spezie, miele e tanto altro serviva appunto a coprire e correggere questi problemi inevitabili.




Sappiamo da fonti più letterali che nel periodo antico era cosa comune attirare la buona sorte sulla vendemmia con riti augurali. In particolare venivano celebrati i Vinalia Rustica, il 19 agosto, riti di buon auspicio per la prossima vendemmia (molto simili alle benedizioni delle vigne e dei campi che i nostri preti facevano fino a non molto tempo fa). Cicerone, nel "De Devinatione" cita le "auguratio vineta", pratiche augurali che fa risalire all'augure Atto Navio dell'epoca di Tarquinio Prisco.

Non possiamo fare a meno d'immaginare che anche la delicata fase della fermentazione avesse la sua parte di rituali. Eppure Columella non si spreca molto in questo senso, accennando solo rapidamente al sacrificio dovuto a Libero e a Libera, ai quali vanno consacrati i vasi della vendemmia. Per lui, che da come scrive sembra un agronomo curioso e molto razionale, è più importante che “non ci si scosti mentre che dura la vendemmia dal torcolo o dalla cantina, in modo che si faccia il mosto netto e puro...”.

Se passiamo al Medioevo la situazione non cambia molto. Come già nel tardo impero, non abbiamo più i vasi in terracotta ma nelle cantine predomina il legno. Tuttavia il modo di fare il vino è praticamente lo stesso, a volte anche con tecniche più scadenti, soprattutto nell'Alto Medioevo.
I grandi testi di agronomia medioevale sono soprattutto quelli della cultura araba. Fra l'VIII e il XIV secolo vi è una grande attenzione all'agricoltura: contiamo circa una cinquantina di opere dedicate a questo ambito. Queste opere fioriscono un po' in tutte le terre allora sotto l'influenza araba, in particolare al-Andalus, l'attuale Andalusia, che in quel periodo vive un periodo d'oro. Per la cultura araba dell'epoca l'agricoltura è una professione che richiede un sapere specifico. In alcuni testi andalusi si parla dell'agricoltura come un mestiere (san' a), ma anche come una scienza ('ilm) ed un'arte (fann). Nell'opera di al-Tignārī ("Libro dello splendore del giardino e del diletto della mente") vi è scritto: "chiunque ne abbia l'attitudine ha il dovere di dedicarsi all'apprendimento della scienza di cui ha bisogno per esercitare il proprio mestiere. Coloro che sono privi di tale attitudine, devono invece ricorrere al consiglio dei sapienti per tutto ciò che riguarda le loro colture o i prodotti di altri mestieri" . Sembra scritto per i nostri giorni!

Purtroppo questi testi non ci parlano di vino, in quanto siamo già in epoca musulmana. Dedicano però ampie parti alla coltivazione dell'uva, soprattutto per il consumo fresco o essiccato. Le fonti a cui attingono sono diverse a seconda delle opere: alcune traggono ispirazione da testi romani classici (Plinio e Columella soprattutto), altri dai bizantini oppure della Mesopotamia. Tuttavia sappiamo, da fonti storiche e letterarie, che la produzione dei territori viticoli era continuata anche dopo il passaggio sotto il dominio arabo. Per lo più (ed ufficialmente) era svolta da comunità di altre religioni e una piccola parte per soli fini farmaceutici. In realtà vi era anche una produzione di persone di religione musulmana. L'importante era che non fosse ostentata. Le tecniche di vinificazione ci sono arrivate comunque (più o meno) per altre vie, ma senza troppi particolari che ci diano indizi sul nostro tema di fondo, la fermentazione. Su questo capitolo molto interessante, torneremo a parlare in un prossimo post.
Tornando in Occidente, l'unico testo agrario di una certa rilevanza è il "Ruralium Commodorum Libri XII" del bolognese Pietro De Crescenzi (1305), basato per molte parti sugli scritti latini, Columella in testa. Anche De Crescenzi descrive molto bene le fasi precedenti la vinificazione, come la decisione dell'epoca della vendemmia e l'importanza della pulizia della cantina, e poi di quelle successive (la conservazione). Non accenna alla fermentazione in sé, se non per spiegare come cercare di togliere i difetti dovuti ad alterazioni.

In generale abbonda di consigli empirici, a volte sensati per noi (qualche volta no). Nelle fasi più difficili, come le alterazioni del vino, che sembrano andare oltre la possibile comprensione umana dell'epoca giungendo terribili come eventi fatali ineluttabili, risvegliano in lui echi che sconfinano più nell'aspetto magico e superstizioso. Queste parti ci serviranno come appiglio per affrontare il capitolo delle superstizioni legate alla vinificazione, che erano sicuramente già presenti nel mondo agrario romano e rimarranno per secoli fino quasi ai nostri giorni. Non è che il Medioevo sia stato un periodo più buio, per molti versi, di tanti altri!
Ma perché il vino si altera? Così l'autore lo spiega, in modo un po' oscuro:” Avviene al vino per l'acquosità sua corruttibile nella vite e o nel vaso, che egli si corrompi e si guasti per varie cagioni adoperate in esso per lo strano caldo. Se si cavasse un poco di feccia o di vino che avesse la feccia, si metta nel vaso senza aprirlo, si convertirebbe in muffa. La quale infetta il vino. Oltre a ciò ogni altro vino che vi si ponga si guasta. E se di questo vino se ne mette in un doglio buono e si mischia con altro vino, lo infetta e lo converte nella sua corrotta natura.” Noi sappiamo che le alterazioni vengono dai microrganismi presenti nel vaso vinario, per ossidazioni o, sulle fecce, anche per fenomeni riduttivi. L'autore, ovviamente senza sapere perché , intuisce che è qualcosa che succede all'interno, non viene da fuori, e che la permanenza sulla fecce ha un suo ruolo. Sono importanti anche le sue considerazioni sul fatto di non infettare un buon vino con uno andato a male.

Ancora: “Inoltre, il vin saldo e potente e massimamente dolce e grosso, messo in tempo caldo in vaso non pieno e non chiuso di sopra, svapora il caldo e lo umido del vino, e resta il freddo e il secco che si converte in acetosità”. Lo spunto acetico, che sappiamo derivare soprattutto dall'azione dei batteri acetici, per l'autore è un fenomeno fisico (e vago). Tuttavia intuisce correttamente la pericolosità d'incorrere in tale inconveniente se si lascia un contenitore scolmo e aperto (causando il contatto con l'ossigeno, che sappiamo agevolare lo sviluppo dei batteri acetici), suggerendo le modalità di lavoro migliori.
“Il vino dà la volta (il girato? E' un'alterazione batterica del vino molto frequente nel passato) e si corrompe più facilmente al tramontare delle Pleiadi, nel solstizio d'estate, nel caldo del Cane, quando c'è troppo caldo o troppo gelo, durante le grandi piogge, nei troppi venti, per i terremoti, per i tuoni, quando fioriscono le rose o le vigne”. Praticamente l'alterazione del vino può avvenire ad ogni evento particolare che “turbi” in qualche modo la vinificazione. Alcuni aspetti fra quelli elencati sono sicuramente veri: i cambiamenti repentini di temperatura possono influenzare quanto succede nelle botti. Un po' meno altri eventi.
Questa credenza riguardo al fatto che certi eventi possano turbare la vinificazione si trovano in numerose culture contadine del passato, in diverse parti del mondo (sia per il vino che per la birra). La fantasia popolare ha contribuito alla nascita di una ricca ed ampia casistica, mescolando intuizioni di fatti reali (meglio evitare gli sbalzi di temperature) a fantasie più o meno colorite.
Alla base c'è l'idea che sta avvenendo qualcosa (si vede, si sente!) ma è incomprensibile. L'istinto porta alla reverenza: forse, se non succede nulla di disturbante, tutto può andare bene... Cosa succede, chi agisce? Spiriti, demoni, entità magiche? Qualcosa sta lavorando, non bisogna far rumore, si deve camminare piano, si deve bisbigliare, non bisogna bussare sui tini o sulle botti, non devono esserci rumori forti, correnti d'aria per porte o finestre aperte, ... Ogni territorio ha le sue storie a proposito. La superstizione genera anche avvertimenti terribili per evitare che qualcuno abbia comportamenti inappropriati: se si bussa su un tino o una botte, rendendo così il vino cattivo, il malcapitato rischia di perdere il dito o la mano. Si credeva anche che la cantina dovesse essere tenuta ben chiusa per evitare che spiriti malefici o streghe o gatti neri potessero influenzare negativamente il processo. Tante altre situazioni potevano portare male, come le donne con le mestruazioni, che non dovevano avvicinarsi ai tini. Secondo alcune culture contadine l'andamento della vinificazione diventava anche un segno premonitore dei destini della famiglia. Se andava poco bene erano in arrivo dispiaceri, se c'erano alterazioni gravi si potevano avere anche disgrazie.
Ritornando però a de Crescenzi, quali sono i rimedi per le alterazioni del vino? Qui c'è un elenco molto lungo. Alcune pratiche descritte per prevenire i problemi (o risolverli in fasi iniziali) sono adeguate, come le sfecciature o il tenere i vasi ben colmi e chiusi. Quando il danno è fatto (e anche oggi è pressoché impossibile rimediare) l'autore elenca invece interventi un po' più fantasiosi, come intrugli di vario genere da aggiungere al vino, basati su erbe o altro. Di certo questi non cambiavano il destino del vino, come suggerisce l'autore ma, forse, erano più utili per coprire cattivi odori o sapori (nell'epoca medievale, come in quella antica, era d'uso comune la correzione dei vini con spezie, erbe o miele o altro). Si suggerisce anche l'uso di piante dalle virtù magiche, come la vitalba che, se messe alla base o sopra la botte, dovrebbero impedire al vino di alterarsi. Il più curioso è una sorta di rito propiziatorio legato alla sfera religiosa: si deve mettere nel vaso vinario una mela con all'interno un foglietto arrotolato con questa scritta: “GVSTATE ET VIDETE QVONIAM CHRISTVS SVAVIS EST DOMINVS”.

Delle credenze citate da De Crescenzo, la più diffusa, la più affascinante e fra le più dure a morire, è quella che lega il vino alle fasi lunari. Infatti, secondo l'autore, la vendemmia deve essere fatta in fase di luna calante, mentre i travasi con luna crescente, altrimenti il vino si fa aceto. Ad esempio, ben 500 anni dopo ritroviamo le stesse credenze, come denuncia nel suo “Trattato completo di agricoltura” (1855) Gaetano Cantoni : "Secondo alcuni la luna avrebbe pure influenza sulla fermentazione dei concimi, e per conseguenza i letamaj dovrebbero piuttosto essere voltati negli ultimi giorni della luna, perché in quest’epoca si disperderebbe minor quantità di principj utili, e resterebbe ordinati per la fermentazione, favorita dai primi quarti della luna successiva. La stessa cosa accadrebbe ella fermentazione vinosa, sul qual proposito corre il proverbio che il vino fatto in due lune a stento o mai si rischiara". Questo pensiero è rimasto fino quasi ai nostri giorni nella cultura contadina (e non solo).

Queste credenze derivano dal pensiero magico che gli antropologi hanno chiamato “magia simpatica”. Uno dei suoi principi più importanti è quello della similitudine. Si basa su una banale associazione mentale per cui il simile chiama il simile oppure dove qualcosa che simboleggia una data azione ha influenza su di essa. In questa concezione la luna che cresce si lega a tutte quelle azioni o situazioni in cui c'è qualcosa che cresce o deve svilupparsi o muoversi. Invece la luna calante assume un legame con tutto quello che cala, che deve arrestarsi o morire. Quindi tutte le fasi di raccolta agricola che comportano il taglio, la morte della pianta o lo schiacciamento (come per l'uva), devono essere fatte in luna calante. Invece un'azione come il travaso, di movimento, va fatto in luna crescente.
Non c'è comunque necessità di andare troppo lontano nel tempo, queste credenze sono ancora vive oggi. Il pensiero magico è subdolo e potente. A volte non si riesce ad evitare neppure tramite la cultura o secoli di ricerche e scoperte scientifiche. La domanda che sorge spontanea è: come mai queste credenze sono sopravvissute così a lungo?
Dobbiamo pensare, come descritto nel testo medievale, che nella produzione di vino i rituali magici-scaramantici non vengono mai fatti da soli. Sono accompagnati sempre da buone pratiche empiriche che possono portare comunque ad esiti positivi. Qui però l'umanità si divide in due strade. Le persone più dotate di una mente razionale tendono a pensare che sia stato il buon lavoro a portare a buoni risultati e si concentrano su quello. Da questa impostazione mentale nei secoli è nata la scienza. Altre persone invece sono portate a focalizzare la loro attenzione più sul fatto che la magia abbia funzionato. Un altro pensiero ricorrente è quello che ci fa dire "Tanto male non fa"! E così queste credenze si perpetuano nei secoli.
E con le nostre conoscenze degli ultimi secoli? Sembra assurdo ma per alcuni può essere più facile comprendere e dare un senso alle semplici correlazioni mentali richieste della similitudine magica piuttosto che capire i concetti chimici o fisici alla base di certe buone pratiche di lavoro. E poi, la considerazione più importante di tutte: queste storie ci piacciono!
Sono belle, poetiche, usano immagini e parole evocative, sono favole affascinanti e seducenti. Anche per questo nei secoli hanno conquistato e continuano tutt'oggi, diventando anche potenti armi del marketing moderno.
Finita questa digressione nelle superstizioni che circondavano la vinificazione, arriviamo all'era degli alchimisti. Scopriamo così che qui iniziano a comparire le prime vere e proprie interpretazioni della fermentazione.
La nostra nuova brochure
Ecco il progetto che ho realizzato per la nostra nuova brochure "più estesa".
Le prime pagine riguardano noi, le persone di Guado al Melo


Ecco invece la presentazione del territorio

Presento poi Guado al Melo in generale, dove si trova, le vigne, ecc.


Ecco la parte che racconta il nostro modo di lavorare in vigna


Ecco la cantina di bio-architettura, col nostro progetto culturale sul vino



Entrati in cantina, presentiamo qui il nostro modo di lavorare nella vinificazione


Infine, ci sono le schede dei vini






Focus sui lieviti (un argomento da "prendere con le pinze") 2
(continua)
Da dove arriva allora il Saccharomyces?
Le ricerche hanno dimostrato come l’habitat migliore del S. sia la cantina e non la vigna. Si insedia con contaminazioni delle quali è difficile individuare l’origine (può succedere che venga dall’ambiente esterno, da attrezzi, in molti casi da lieviti portati in cantina, ecc.). In una vecchia cantina, dove si fanno vinificazioni ormai da anni, ne diventa un abitante discreto ma ben insediato. Viceversa si sa che nelle cantine nuovissime le fermentazioni stentano sempre un po’.
Cosa succede allora nel corso di una fermentazione spontanea?

Quando ammostiamo l’uva, trasferiamo nel mosto tutti i nostri piccoli ospiti viaggianti. Il trattamento non piace però a tutti, molti soccombono. Rimangono quelli adatti a sopravvivere in queste nuove e difficili condizioni: alta concentrazione zuccherina e (quasi) assenza di ossigeno. Il Saccharomyces è in scarsa rappresentanza e per ora se ne sta abbastanza buono. La fermentazione parte con i non-saccharomyces che si alternano anche rapidamente nella volata. È una sorta di gara per la sopravvivenza: tutti vogliono quel "dannato" zucchero (e altri composti) ma vince e si alterna al comando chi riesce a prevalere in quel momento numericamente, o perché parte in vantaggio o perché è favorito da diverse condizioni chimico-fisiche che via via si succedono (temperatura, pH, acidità, etanolo crescente, ecc.). Intanto il Saccharomyces prende sempre più slancio e, siccome è un po’ più forte, vince gli altri sulla resistenza all’alcool (e ad altro), diventando sempre più la specie dominante. Si è appurato che, dove il Saccharomyces non ce la fa a prevalere sul finale (per diversi motivi), le fermentazioni procedono con difficoltà e si hanno spesso esiti sfavorevoli sulla qualità del vino.

Spero sia chiaro che in tutto ciò entrano in gioco un gran numero di variabili, che cambiano in modo consistente il risultato finale (le caratteristiche del vino). L’enologia non è certo una materia semplice: la conoscenza è fondamentale per non procedere troppo pericolosamente in balia del caso (non sempre benigno). In fondo, siamo o no professionisti-artigiani del nostro lavoro? Entrano in gioco, positivamente o negativamente, lo stato sanitario delle uve, la disponibilità di nutrienti azotati, la pulizia di attrezzature ed ambiente, le temperature, il contatto più o meno spinto con l’ossigeno, ecc., oltre che (naturalmente) l’aggiunta eventuale di solforosa e l’inoculo col Saccharomyces (atti che cambiano le carte in tavola). Tutti questi fattori influiscono selezionando le varie specie e i ceppi che si alternano nel mosto a condurre la fermentazione.

Sappiamo però chi è che conduce il gioco?
No, è veramente difficile seguire passo a passo l’alternarsi nella vasca. Il produttore sa gestire attentamente la fermentazione con opportuni e calibrati interventi quando questa stenta ad andare avanti, se inizia a sentire certe puzzette sgradevoli, ecc. Non può però sapere con certezza chi conduce il gioco che, come già detto, fra l’altro può anche variare ogni anno. Si è dimostrato anche (in cantine dove sono condotte solo fermentazioni spontanee) che i microrganismi coinvolti cambiano anche passando dalle prime fermentazioni a quelle successive. Nelle prime fermentazioni dell’annata al principio partono i non-saccharomyces, mentre il S. interviene più tardi. Andando avanti con la vendemmia però, quando è ben forte in cantina, il Saccharomyces può diventare predominante subito nelle fasi iniziali.

E il lievito aggiunto? È il diavolo?
Per qualcuno è lo slogan del momento: il lievito indigeno (o no) sembra poter rapidamente designare i vini come migliori (o meno). Tuttavia è come concentrarsi solo sulla punta di un iceberg e non pensare all’enorme massa che sta sotto l’acqua. Per fare un grande vino artigianale di territorio la fermentazione è sicuramente fondamentale ma ci vuole tantissimo prima (in vigna soprattutto) e tanto dopo. Ad esempio, se ho un’uva non equilibrata, perché viene da vigneti che crescono in modo un po’ stentato, posso fare anche fermentazioni spontanee ma otterrò comunque vini poco espressivi. Questo perché nelle uve mancano i “mattoncini” fondamentali che i lieviti dovrebbero usare per fare un grande vino, ma non li trovano!
Aggiungere lievito può essere utile in certe situazioni difficili, senza inficiare in modo significativo le caratteristiche territoriali del vino. La ricerca ha dimostrato che l’inoculo non necessariamente impedisce l’attività iniziale dei non-saccharomyces che arrivano dalla vigna, soprattutto se l’aggiunta viene, ad esempio, un po’ ritardata.
Sicuramente si sa che è molto meglio la diversità delle specie e dei ceppi che l’uniformità. Sicuramente per produrre vino di territorio è meglio evitare tutti quei ceppi selezioni che introducono nel vino particolari caratteristiche, alterando quelle territoriali. Il meglio è aiutarsi, quando serve, con l’inoculo dei ceppi selezionati dalla propria cantina che, qualunque sia la loro provenienza, comunque sono diventati parti integranti del nostro “terroir”. Sicuramente si sa che ogni vino, anche nella stessa cantina, ha la sua storia e le sue necessità, non sempre uniformabili, in tutti i sensi!
Questo intervento è molto generico e divulgativo. Quello che mi preme è far capire l’enorme complessità che entra in gioco in questo processo e che rende tanto affascinante quanto complicato il nostro lavoro. Capirete così anche perché, di norma, il vignaiolo durante la vendemmia dorma con difficoltà, pensando incessantemente a quanto succede nelle vasche. È un piccolo mondo ma vi succedono tante cose!
Se volete scoprire l'incredibile storia di come si è scoperto il ruolo dei microrganismi nella fermentazione potete leggere anche qui, qui, qui e qui.
Focus sui lieviti (un argomento da "prendere con le pinze") 1
Se ne parla tanto oggi, a volte anche a sproposito, trascurando forse gli altri (mille e più) parametri fondamentali per produrre un ottimo vino di territorio. Purtroppo, quando un argomento diventa terreno del marketing più spinto, diventa difficile parlarne con serenità. Purtroppo non si sprecano anche le bufale, a volte così belle e poetiche da far enorme presa nell’immaginario collettivo.

Eppure il lievito non è “nato ieri” ma accompagna l’uomo da almeno 10.000 anni in tante trasformazioni alimentari, anche se l’uso è stato inconsapevole per millenni (vedete qui e qui). Solo nella seconda metà dell’Ottocento Pasteur dimostrò il ruolo dei microrganismi nelle fermentazioni e anche nelle alterazioni del vino (qui e qui). Da allora è iniziato il cammino, ancora in corso, di comprendere questa affascinante e complicata trasformazione.


Ci sono ancora tante cose da scoprire e capire. Eppure non siamo più all’epoca in cui la fermentazione era un processo misterioso intorno al quale nascevano anche tante superstizioni, riti scaramantici ed interpretazioni magiche (alcuni dure a morire anche ai nostri giorni). Sappiamo che la fermentazione alcolica è condotta soprattutto dai lieviti del genere Saccharomyces, come il famoso S. cerevisae o il S. bayanus, che a loro volta possono essere rappresentati da diversi ceppi. Questi sono anche i lieviti più adatti a sopportare l’accumulo di etanolo che si crea dalla trasformazione degli zuccheri. Infatti sono gli unici a rimanere in vita e a condurre il processo fino al termine. Questo fatto li rende (quasi) indispensabili.
Non sono però i soli: nel mosto –vino c’è una ricca biodiversità di lieviti e batteri che intervengono più o meno positivamente.

Per fare qualche nome, possiamo ricordare la Candida pulcherrima (bellissima!), i generi Pichia, Cryptococcus, Rhodotorula, Kloeckera… Sono in genere più sensibili all’alcool, per cui molti non riescono a sopravvivere se non nelle fasi iniziali. Eppure sono importanti: è stato dimostrato che questi non-saccharomyces influiscono molto sulle caratteristiche aromatiche del vino, sia positivamente che (a volte) negativamente. Se ben gestiti, donano al vino note uniche, contribuendo in modo significativo alla complessità e personalità del prodotto. Se mal gestiti, possono portare a puzze, acidità volatile eccessiva, ecc. , a far nasce vini veramente poco gradevoli.
Da dove vengono i lieviti?
I lieviti, come tanti microrganismi utili o dannosi, si trovano un po’ ovunque in natura. Sono stati fatti diversi studi per cercare di capire questo punto, al di là di tanti “simpatici” voli di fantasia cari al marketing. Le ricerche degli ultimi 10 anni hanno dimostrato che molti microorganismi sono presenti sull’uva. La loro quantità e diversità dipende molto da come si è gestito il vigneto, dalla temperatura e dallo stato di sanità dei frutti. Si è visto anche che questo mix di microorganismi cambia con l’annata, è caratteristico del micro-territorio (la vigna) e la varietà di vite. Per questi motivi è stato incluso nel cosiddetto terroir viticolo.
Non è facile però stabilire le quantità e qualità in singole prove empiriche. Si è visto infatti che i campionamenti cambiano molto, pur nella stessa vigna, se fatti in un modo o nell’altro. Solo confrontando un numero elevatissimo di studi diversi è possibile trarre delle conclusioni più generali. (Questa si chiama RICERCA, fatta per bene).
Sulla superficie di un acino perfettamente integro ci sono pochissime sostanze nutritive per cui qui si trovano pochi microorganismi, quelli un po’ pionieri, capaci di sopravvivere in questa situazione limitante. Molti di questi non sono i microrganismi che conducono la fermentazione alcolica perché per vivere dipendono dall’ossigeno. La fermentazione alcolica invece è una reazione che avviene in assenza di questo gas (si dice “in anaerobiosi”).
La maggior parte dei microorganismi che interessano la fermentazione si trovano soprattutto su acini danneggiati (per i più diversi motivi). Infatti solo con la fessurazione della buccia possono trovare quei composti nutritivi essenziali per la loro sopravvivenza e l’ambiente adatto per loro.
Qui serve però un distinguo: parafrasando i latini dobbiamo dire che “in minimo stat virtus”. È vero che l’uva più danneggiata ha un biodiversità e carica microbica maggiore, ma questo non significa che sia la condizione migliore per la vinificazione, attenzione! In un’uva molto sana (la migliore da vinificare) c’è comunque una piccola percentuale di acini con micro-fessurazioni da portare una quantità più che sufficiente di microrganismi in cantina. L’uva poco sana è sempre negativa, sia per le proprie caratteristiche non ottimali che per una carica microbica fortemente alterante.
Comunque le ricerche hanno dimostrato che questa piccola folla che ci portiamo in cantina nei cesti d’uva è composta soprattutto dai fermentatori delle prime fasi. Clamorosamente è pochissimo rappresentato quello che diventerà il protagonista quasi assoluto quando il “gioco” si farà duro: il Saccharomyces!
Da dove arriva allora?
(prosegue)
Di vini che non ci saranno.
Come abbiamo già anticipato, i nostri Rossi più importanti, Atis e Jassarte 2014 non ci saranno. Sarebbero dovuti uscire al commercio nei prossimi mesi, con la presentazione a Vinitaly.
Da noi il 2014 è stata una vendemmia molto difficile. Fortunatamente ce ne sono pochissime in questa meravigliosa Bolgheri, ma a volte capitano.
Cos’è un’annate difficile? È un annata in cui gli eventi climatici contrari si sommano a tal punto da non permettere l’originarsi del Particolare, di far nascere quei vini di selezione dove lo “Spirito del Luogo” si manifesta in tutta la sua magnificenza. Il 2014 è stata una di queste.
È stato un anno in cui la nostra bella estate non si è praticamente vista, sostituita da una cappa grigia d’umidità quasi continua, finita con una vendemmia sotto la pioggia. Il meglio delle uve, che abbiamo curato e selezionato con lavoro certosino in vigna, ha meritato di far nascere buoni vini di grande finezza, i nostri Rossi base, ma non le Selezioni.
Il vino per me è assolutamente di territorio, che significa mettersi al servizio di esso, agevolare una trasformazione che ti sorprende sempre. Un grande vino di territorio è qualcosa che non puoi comprendere fino in fondo neppure quando è nato, perché non smette di mutare e trasformarsi nel tempo che passa.
Il vino, naturalmente, non nasce solo in vigna ma anche in cantina. L’assoluta cura del nostro lavoro e delle scelte fatte, nell’uno e altro ambito, sono fondamentali. Un conto però è la cura che porta ad esaltare le qualità, un conto è stravolgerle.
Annate così difficili, per i grandi Rossi di Selezione, non le “salveresti” comunque intervenendo in cantina. Le stiri, le giri e le rigiri, puoi renderle tecnicamente perfette, ma non puoi tirare fuori quel qualcosa di più e di meglio (“quell’anima”) che nelle uve semplicemente non c’è. Non è questione di saperlo fare o meno.
Secondo me, avere una grande capacità tecnica nel fare vino non significa intervenire ad ogni costo, ma riuscire piuttosto a capire quando è meglio fermarsi. Ho troppo rispetto per Atis e Jassarte per maltrattarli in questo modo.
Fare questa scelta non è mai facile per un’azienda di vignaioli. Noi viviamo di questo lavoro, sentiamo la responsabilità nei confronti dei nostri figli, dei nostri collaboratori e delle loro famiglie. In questo periodo di vuoto c’è chi si scorderà dei nostri grandi rossi, che li sostituirà con altro. Pazienza, sono convinto che si recupererà.
In attesa di Atis e Jassarte della grande annata 2015, godiamoci ora le ultime bottiglie dell’ottimo 2013 e le altre storiche.
Michele Scienza
WineNews sul Mercato FIVI di Piacenza
Ecco un video sulla Mostra Mercato dei Vignaioli Indipendenti FIVI di Piacenza 2017.
Parla anche Michele Scienza, dal minuto 4.58
http://www.winenews.tv/index.php?wnv=8238
Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti 2017
Sabato e domenica si terrà il salone dei Vignaioli a Piacenza, a cui partecipiamo ormai da tanti anni.
Ecco la nostra posizione: vi aspettiamo numerosi!

Cena dei vignaioli FIVI
Venerdì 24 novembre, in occasione della Mostra Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti FIVI a Piacenza (25-26 Novembre), ci sarà una cena con in abbinamento i vini di alcuni dei vignaioli.
Si terrà a Cadeo (Piacenza), presso il ristorante Da Romano. Ci sarà anche il nostro Vermentino L'Airone. Nelle immagini sotto ci sono tutte le informazioni necessarie.




Prossimi appuntamenti di Novembre
Segnatevi queste date: ecco due manifestazioni di vino molto interessanti a cui saremo presenti:
- 18-19 Novembre al porto di Livorno, Terminal Crociere, Mare di Vino: questa manifestazione, organizzata dalla Fisar locale, raduna molte importanti aziende della nostra bella provincia di Livorno, con le sue denominazioni Bolgheri, Val di Cornia, Montescudaio e Terratico di Bibbona. info su: http://www.maredivino.it/
- 25-26 Novembre alla fiera di Piacenza, Mostra Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti: qui invece si ritrovano vignaioli da tutta Italia, 501 per l'esattezza, tutti affiliati alla FIVI (Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti). Info su http://www.mercatodeivini.it/
Taormina Gourmet 21-22-23 ottobre 2017
Saremo presenti coi nostri vini a questo rinomato festival del cibo e del vino, nella magnifica Taormina, presso Hilton Giardini Naxos.
Per ogni informazione http://www.taorminagourmet.it/
Criseo: uno dei migliori bianchi toscani
Criseo, il primo vino bianco da affinamento di Bolgheri, continua a far parlare di sè. Il giornalista Daniele Cernilli lo ha messo fra i migliori vini bianchi di questa estate
, descrivendolo così:
"Naso di formidabile complessità, note di pietra focaia, cedro, mandorla fresca e accenni di frutta esotica. Sapore pieno, salino, di ottimo corpo, caldo ma agile e dalla piacevolissima bevibilità. Uno dei migliori bianchi toscani di quest’anno. Complesso".
Grazie mille!
Katrin Pfeifer "Bolgheri: Impressioni dalla Natura" "Impression from Nature"
Ecco alcune immagini della mostra.
Here there are some pictures of the exhibition.









Sabato 8 luglio: inaugurazione dell'opera di Fabrizio Tiribilli
Sabato 8 luglio, dalle 18.00 alle 20.00, ci sarà la presentazione da parte di Fabrizio Tiribilli della sua opera "Danza d'Agosto".
Vi aspettiamo
Sabato 8 luglio: inaugurazione dell'opera di Fabrizio Tiribilli
Sabato 8 luglio, dalle 18.00 alle 20.00, ci sarà la presentazione da parte di Fabrizio Tiribilli della sua opera "Danza d'Agosto".
Vi aspettiamo
Jassarte is Jassarte
Ecco un video che presenta uno dei nostri vini di punta, l'unico e raro Jassarte.
Tom Hyland: Guado al Melo, expressive wines from Bolgheri
Tom Hyland wrote about Guado al Melo:
Guado al Melo, expressive wines from Bolgheri

Vineyards at Guado al Melo, Castagneto Carducci
(All photos from the Guado al Melo website)
The Bolgheri district, located along the western coast of Tuscany in the province of Livorno, has become, in the short time frame of 35-40 years, one of the most celebrated of all wine territories in Italy. There’s more than a touch of irony here, as the leading varieties are not indigenous, but rather ones imported from France, namely Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot and Petit Verdot. Yes, Sangiovese is grown in Bolgheri (this is Tuscany, after all), but this variety takes a back seat to the cultivars from Bordeaux.
The names of the most critically acclaimed red wines of Bolgheri (there are some notable whites produced here as well – more on that later) are quite famous, names such as Sassicaia and Ornellaia. Less well-known, but as impressive (arguably, even more so) is Grattamacco. These estates have made Bolgheri a household name and today they continue to craft stunning wines.
Of course, as with any wine zone, there are numerous excellent producers that are not as well known. One of the best of this category is Guado Al Melo, property of the Scienza family. Michele Scienza, who had spent time in Bolgheri, learning the land alongside his father Attilio, moved to the small town of Castagneto Carducci in 2000, and opened Guado al Melo soon after.
Michele had a wonderful education in wine, thanks to Attilio, who is one of Italy’s most knowledgable personalities when it comes to viticulture and grape varieties. One of the features of the winery today is a library of wine books, one of the most exhaustive in Italy, or the world for that matter. If you need to know anything about what varieties should be planted in which soils throughout Italy, ask Attilio Scienza. Believe me, you will get a thorough answer!

Inheriting such a vast wealth of knowledge from his father, it was only natural that Michele would become a bit adventurous in his work. Along with crafting his versions of Bolgheri reds – and one impressive Bolgheri white – Michele produces a special red known as Jassarte. The name is that of a river of the ancient world; together with the River Indo, these bodies of water separated East from West several thousand of years ago. Together with his father, Michele planted a separate vineyard at the estate that would be a field blend, with a mix between Mediterranean (current Western Hemisphere) and Caucasian (Asia Minor) varieties. The vineyards themselves are trained in ancient Etruscan methods, and the wine is a bit of a tribute to Etruscan winemaking from centuries past, while implementing current technology in the cellar. Jassarte is a blend of at least 30 varieties, which includes a few from Portugal, as well as Caucacus and the Rhone Valley; while there is little information given out regarding the exact varieties used in this wine, the dominant one is Syrah.
Here are a few brief notes on the wines of Guado al Melo:

2015 Criseo (Bolgheri Bianco) – This is one of the top two wines of Guadl al Melo, and of the current releases, it is the finest. A blend of Vermentino (80%) with smaller percantages of Verdicchio, Manzone, Fiano and Petit Manseng (how’s that for an unusual mix of varieties?); aged in stainless steel and given several months of aging on its lees. Aromas of lemon zest, guava and a hint of apricot. Medium-full with excellent depth of fruit, and a rich mid-palate. Impressive persistence, very good acidity and a light minerality. Excellent complexity, this is well made and engaging now, but will display greater complexities over the next 3-5 years. Excellent
2015 Antillo (Bolgheri Rosso) – Sangiovese-based, this offers aromas of black cherry, tobacco and menthol. Good acidity, with a slight bite to the tannins. Fresh and fruity, but lacking complexity. Enjoy over the next 2-3 years. Good (Antillo means “sunny place.”)
2015 Rute (Bolgheri Rosso) – Primarily Cabernet Sauvignon with a small percentage of Merlot. Bright ruby red; aromas of black cherry, myrtle, plum and mint. Medium-bodied, with ideal ripeness, good acidity, medium-weight tannins, very good persistence and impressive harmony, though perhaps a touch too much oak. Enjoy now and over the next 2-4 years. Very Good (Rute is an Etruscan word meaning “red.”)

2015 Atis (Bolgheri Superiore) – Atis is the name of a legendary Etruscan king. Cabernet Sauvignon-based, this has aromas of black plum, violet and thyme. Medium-full with very good to excellent concentration. Ripe and somewhat forward, with medium-weight tannins, good acidity and impressive persistence. This needs several years to settle down and display its finest qualities. Best in 10-12 years. Excellent
Bravo to Michele Scienza for his consistently excellent work at Guado al Melo. He was recently recognized for being one of the up-and-coming wine estates in Italy by a prestigious wine publication in that country, and I personally admire his Criseo Bianco quite a bit. I think you will be hearing more about his wines over the coming years.
Tom Hyland
Orario estivo della cantina
Passiamo all'orario estivo di apertura della cantina. Da oggi fino a metà settembre saremo aperti al pubblico dal lunedì al sabato mattina 10.00-13.00 16.00-20.00.
Venite a trovarci: in questi orari sono possibili degustazioni, visite libere al museo sulla storia e cultura del vino, l'acquisto del vino.
Invece per tour guidati con degustazione (Visita Plena) è necessaria sempre la prenotazione.
A proposito di Criseo
Una gradita e ottima recensione del nostro Criseo 2015 sul Venerdì di Repubblica (venerdì 9 giugno 2017), ad opera di Paola e Gianni Mura. Grazie mille.

Servire ad abbinare il vino
Sapete che è meglio non lasciare il vino in macchina sotto il sole in estate? Oppure che servire il vino a una temperatura sbagliata non ce lo fa apprezzare quanto merita?
Bersi con piacere un bicchiere di vino non comporta per forza essere degli esperti anzi la cosa migliore è lasciarsi andare al piacere.
Tuttavia ci sono piccoli accorgimenti per rendere questo momento migliore o, per lo meno, per apprezzare senza intoppi una buona bottiglia di vino. Ci sono molti libri sull'argomento per chi volesse approfondire. In questi pieghevolini diamo solo qualche informazione fondamentale.
C'è anche qualche idea di abbinamento per i nostri vini ... poi lasciamo spazio alla vostra fantasia.


Se volete scaricare la versione in pdf in italiano ed inglese:
servire ed abbinare il vino 2017
Danza d'Agosto - Fabrizio Tiribilli torna a creare per Guado al Melo
L'artista, di origini fiorentine, Fabrizio Tiribilli (anche se ormai vive da anni sulla Costa Toscana, ora a Livorno, dopo un intermezzo in Sicilia) torna a creare per la nostra azienda. Lo fa con una bellissima opera nuovamente ispirata alla natura e al nostro lavoro di vignaioli. Fabrizio è una grandissima persona e un grande amico, oltre che un artista di grande sensibilità.
Il titolo di questa ultima opera è "Danza d'Agosto", ispirata alla danza dei colori che si crea sul grappolo d'uva durante l'invaiatura*. Tecnicamente si tratta di pittura ad olio su pannelli di legno. L'opera è molto grande e Fabrizio ha scomposto il grappolo in tanti pannelli, giocando sui pieni e sui vuoti, per un effetto d'insieme spettacolare.
Stiamo terminando la preparazione e, a breve, ci sarà una degna inaugurazione!
*Il grappolo, dopo la fioritura, forma dai pallini piccoli e verdi (i futuri acini) che iniziano pian piano ad ingrossarsi. Circa all'inizio d'agosto gli acini non crescono più ma iniziano a cambiare colore. Questo momento viene chiamato "invaiatura". Per l'uva bianca è un processo discreto, si vira verso il giallino o il giallo con sfumature verdi. Per l'uva nera è più vistoso e spettacolare: gli acini, anche sullo stesso grappolo, prendono diversi colori prima di arrivare alla tinta finale, diversa per ogni varietà, che va dal violaceo al blu profondo. Al termine dell'invaiatura l'uva ha cambiato colore ma non è ancora pronta. Ora inizia la maturazione vera e propria, cioè tutte quelle trasformazioni interne che lo portano ad accumulare zuccheri, aromi, tannini, ecc... Dall'invaiatura alla maturazione ottimale passano circa 40 giorni, periodo che può variare anche in base all'andamento stagionale di questo delicato ed importantissimo momento.



Questo è il secondo importante lavoro che Fabrizio ha realizzato per la nostra cantina, ispirato alla vigna. Il primo risale al 2007. Si tratta di un grande trittico, "Leaf", sempre olio su legno, che rappresenta una foglia di vite divisa in tre parti e con i tre colori che la natura ci regala nelle diverse stagioni. Quest'opera, sempre di grande impatto, ravviva la nostra sala di degustazione.

In seguito ha "giocato" con le torrette di ricircolo dell'aria (n.9 in totale) sul tetto verde della nostra cantina, con un'opera intitolata "Regenesi Ludica", ispirata sempre ai colori della natura circostante. Ha trasformato degli oggetti tecnici da nascondere in elementi vivi che caratterizzano il paesaggio.





Infine, nel 2015 abbiamo ospitato una sua mostra nella nostra cantina, vi ricordate?



La mostra mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti FIVI a Roma
Bella esperienza alla prima mostra mercato FIVI a Roma. Grazie a Daniele de Ventura e tutti i suoi collaboratori per l'evento. Ecco alcune foto.




Il mistero della complantazione
Mi rendo sempre più conto che quando racconto alle varie manifestazioni di vino (come ieri a Lucca) il nostro Criseo (già Guado al Melo Bianco) e, soprattutto, il Jassarte, negli occhi di molte persone brilli la luce dell’incomprensione (anche se poi magari non osano dire nulla).
Purtroppo la comunicazione dominante del vino in Italia ha inculcato l’idea, credo ormai difficile da superare, del vitigno singolo o puro come il massimo dell’espressione enologica. Noi invece spiazziamo presentando alcuni vini che nascono dall’idea opposta, cioè la complantazione (bellissima parola che fa pensare a vicende mistiche e meditative).
In realtà non è un concetto complicato e, fra l’altro, neanche nuovo, ma intimamente legato a quello che è sempre stata la viticoltura nei nostri territori nel passato, a parte forse la seconda metà dell’ultimo secolo .
Semplicemente si tratta di vini che nascono da singole particelle di vigna dove sono coltivate insieme (da qui il termine complantazione) diverse varietà. E qui succede qualcosa di straordinario: queste viti che crescono insieme (da molti anni) nella stessa particella arrivano a come fondersi fra loro, a diventare un tutt’uno, dove ciascuna partecipa a dare complessità ma nello stesso tempo la caratteristica varietale diventa sfuggevole ed indistinta, dove alla fine ad esprimersi è quella singola particella nella sua unicità e non la somma delle diverse varietà che la compongono. È un atto sinergico, dove il risultato non è la semplice somma delle parti ma un qualcosa di unico ed irripetibile.
Criseo è questo, una particella dove in origine abbiamo piantato delle varietà a bacca bianca con una certa percentuale, cresciute insieme ormai da 19 anni, che raccogliamo tutte insieme in quel momento magico in cui, dopo anni di esperienza, abbiamo capito che raggiungono all’unisono il punto più alto di co-espressione, per essere fermentate tutte insieme. La co-fermentazione non è di nuovo frutto del caso, ma ci sono voluti anni di sperimentazione per arrivare a comprendere. La differenza fra la co-fermentazione e fermentare ogni singola varietà da sola è la stessa fra la musica di un’orchestra e quella dei singoli strumenti. Fermentando insieme si creano sinergie uniche, sviluppando sensazioni aromatiche che altrimenti non nascerebbero dalle singole varietà, anche se poi mescolate insieme.
Jassarte è probabilmente una forma di complantazione più pura ancora rispetto al Criseo. Si parla qui di una trentina di varietà, dove la massima complessità si fonde nell’unicità di una singola vigna (anche questa di 19 anni d’età). È inutile cercare nell’assaggio, come fanno alcuni, di riconoscere questa o quella varietà! È impossibile. Noi ripetiamo agli increduli degustatori:“Jassarte è Jassarte!”. Bisogna lasciarsi andare ad assaporare il nuovo, non cercare il già conosciuto. Capisco che sia come un salto nel vuoto, senza le cinture di sicurezza delle note aromatiche delle varietà così come si imparano a memoria. Bisogna avere solo la semplicità di abbandonare le vecchie vie senza timore. È un salto onirico infatti, al rallentatore, da assaporare senza la paura di cadere.











































