Normalmente siamo abituati a considerare una pianta soprattutto da quello che vediamo: rami, fiori e frutti. Eppure le piante non vivono come noi solo sulla superficie terrestre. Sono organismi che occupano contemporaneamente due ambienti diversissimi: l’ambiente aereo e quello del suolo.  

Non so quanto vi stupirà sapere che, per l’equilibrio ed il dialogo con il proprio ambiente, per le piante il sotto è quasi più importante del sopra. Attilio (il prof. Attilio Scienza) usa dire che le radici sono “il cervello” delle viti. Naturalmente si tratta di qualcosa di completamente diverso, ma è una metafora utile per comprendere la loro importantissima funzione.

… Wanna live underground … come cantava un grande mito, David Bowie, in un film della mia adolescenza (Labirinth).

Non è comunque semplice conoscere le radici nel loro mondo sotterraneo. Non è semplice raggiungerle e sottoporle a test, riuscendo a conservarle integre in tutte le loro ramificazioni più sottili o senza sconvolgere le situazioni locali. Per questo motivo, non ci sono tantissimi studi su di esse o almeno non quanti se ne fanno sulle parti aeree. Rimangono quindi ancora tante domande aperte che richiederanno altre ricerche, ma qualcosa lo abbiamo imparato e qui vi faccio un breve prospetto.

Le radici della vite servono, come tutti sappiamo, per l’assorbimento dell’acqua e delle sostanze nutritive (i sali minerali del suolo). Sono però anche fondamentali per l’equilibrio ed il benessere generale dell’organismo vegetale perché sono responsabili per buona parte della sua capacità di resistere agli stress.

Gli animali possono reagire ad un qualsiasi stress ambientale semplicemente spostandosi, così come per cercare cibo. Le piante (di norma) non si spostano e hanno quindi sviluppato enormi capacità di adattamento e di resistenza agli stress che possono subire nel corso della loro vita sedentaria. La loro reazione si basa essenzialmente sul cambiamento del modo, della velocità e della direzione in cui crescono. I segnali non sono trasmessi dagli impulsi elettrici di una rete neurale come per gli animali, ma sono di natura chimica. Stiamo parlando di ormoni, cioè sostanze che si spostano nella pianta, portando con sé un messaggio da trasmettere. Sono proprio le radici a produrre buona parte di questi ormoni, che regolano la crescita e le risposte fisiologiche dell’intera pianta all’ambiente esterno.

https://ortistidistrada.com/2018/01/16/plants-vs-animals/

L’ambiente naturale della vite è quello mediterraneo, che può essere anche molto limitante. Visto che si tratta di un clima arido o semi-arido, ha limiti importanti legati alla disponibilità di acqua. Inoltre, di norma, ha bassi contenuti di sostanza organica nel suolo. Ci possono poi essere accumuli di calcare, di sale, ecc.  Le radici della vite si sono evolute per sopravvivere in questo ambiente abbastanza difficile. Sono in grado di rispondere bene agli stress idrici, a carenze nutritive, come di sopravvivere a situazioni complesse. Questo avviene grazie alla loro capacità di espandersi e di rinnovarsi di continuo, di stoccare sostanze di riserva, di entrare in simbiosi con altri abitanti della terra.

Secondo gli studiosi, la conoscenza e la cura ottimale dell’apparato radicale è quindi uno dei temi più importanti per la qualità del vino. Inoltre, siccome nelle radici sta la risposta della vite agli stress, questa conoscenza può offrirci grandi opportunità per l’ottimizzazione della viticoltura in relazione al cambio climatico. Vediamo quindi il perchè di questa importanza e di come si riflette sulle scelte di lavoro in vigna.

Per chi volesse approfondire, la mia principale fonte è “Vine roots” dei professori sudafricani E. Archer e D. Saayman (2018, The Institute for Grape and Wine Sciences, Stellenbosch University), da cui ho preso anche diverse illustrazioni. Si tratta di un ottimo riepilogo sullo stato dell’arte. L’Università di Stellenbosch è considerata il centro mondiale più qualificato sugli studi sul suolo vitivinicolo.

Come sono fatte

Senza scendere troppo nel dettaglio, vi do alcune informazioni generali che saranno utili per capire certi aspetti funzionali che poi spiego.

Una radice di vite è avvolta esternamente da uno strato protettivo, un’epidermide più o meno spessa che, nelle radici più grosse e strutturali, è lignificata (corteccia). La parte centrale, avvolta da un secondo tessuto protettivo (l’endoderma) comprende i tessuti più delicati, compresi quelli con capacità di crescita (il periciclo) e che sono responsabili del trasporto nella pianta. Questi ultimi sono due, diversi per funzione e struttura: lo xilema ed il floema. Lo xilema si occupa di portare a tutta la pianta quello che proviene dalle radici: l’acqua, le sostanze nutritive assorbite, le sostanze che producono (ormoni e altre). È fatto da tubicini cavi ed il trasporto avviene per flusso capillare, guidato principalmente dalla traspirazione fogliare. Il floema ha prevalentemente un percorso inverso: dalle foglie porta i prodotti della fotosintesi a tutto il resto della pianta. È fatto da cellule vive, che attivamente traslocano questi prodotti attraverso di esse. Queste parti essenziali possono essere strutturate in modo diverso a seconda dei diversi tipi di radice, in dipendenza del loro ruolo, della genetica di ogni portinnesto, …

Le radici infatti non sono tutte uguali. Quelle dette primarie, o anche strutturali o fittonanti, sono le più spesse (6-10 mm). Sono lignificate e hanno il ruolo di ancorare la pianta al suolo. Inoltre, sono un crocevia importante per il trasporto delle sostanze nutritive e dell’acqua. Infine, sono centri di stoccaggio delle riserve della pianta. Le radici secondarie sono invece quelle più sottili (2-6mm). Si allungano sia lateralmente che in profondità. Quelle più superficiali sono importantissime soprattutto per l’assorbimento dei nutrienti minerali, che si trovano principalmente negli strati superiori del suolo. Sono utili anche per l’assorbimento di acqua, intercettandola prima che scorra via o scenda più in basso. Quelle di profondità sono invece indispensabili per resistere agli stress idrici. Da queste radici partono ulteriori ramificazioni, le radici fibrose o assorbenti. Queste vivono giusto una stagione e si rinnovano di continuo. Sono la propaggine più estrema della pianta, le principali responsabili dell’assorbimento di nutrienti ed acqua. La superficie di contatto col suolo viene ancora più estesa dai peli radicali, così come dalle ife dei funghi in simbiosi con le radici.  

Il disegno mostra i diversi tipi di radice

Quando si parla delle radici della vite si sottolinea sempre la loro lunghezza. Tuttavia, la capacità di scambio col suolo dipende soprattutto dalla loro ramificazione e, quindi, dallo spazio di suolo che riescono ad occupare in densità. Più la vite si trova in condizioni favorevoli di suolo, più tende a ramificare e più ottimizza la sua capacità di scambio. Si possono arrivare ad avere 200 metri di radice per ogni metro cubo di suolo (circa 1.0-1.5 Kg di radici per metro cubo). Viceversa, nelle condizioni più sfavorevoli, le radici sono inibite sia nell’allungamento che nella ramificazione. Si ha allora una maglia più ampia e la pianta ha meno vigore. Se la densità radicale e la distribuzione sono molto limitate, si crea un disequilibrio tra la crescita vegetativa e la produzione che porta ad uve povere e vini di minor qualità, soprattutto nelle annate più siccitose. 

In questa foto si vede la fittezza di una radice in un suolo fertile.

Le radici più spesse non muoiono facilmente. Invece le radici più fini muoiono continuamente e sono sostituite entro poche settimane. Questo continuo ripristino, insieme con l’abrasione che subisce il tessuto più esterno delle radici vive, arricchisce in modo consistente il suolo di materia organica. Champagnol (1984) ha quantificato questo contributo fino a 8 tonnellate per ettato all’anno, per tutta la durata di vita della vigna.

Il rapporto con le micorrize ed altri abitanti della rizosfera

Le radici non sono isolate ma “dialogano” col loro ambiente e gli altri abitanti del suolo. Producono verso l’esterno un muco, una sostanza gelatinosa che ha tante funzioni, non tutte chiarite, fra le quali quella di limitare i danni di abrasione da parte delle particelle del suolo. Questo gel contiene carboidrati, amminoacidi, acidi organici, enzimi e altri composti. Alcune di queste sostanze sono utilizzate come nutrimento da una vasta gamma di organismi che vivono nel terreno. Si è visto che alcune hanno anche un’azione di stimolo o viceversa di blocco sulla crescita di funghi, batteri o nematodi. Inoltre, come già detto, le radici producono annualmente anche una grande massa di materiale organico, che è un humus ideale per vari organismi della rizosfera.

Uno dei rapporti più noti che la vite riesce ad instaurare con altri organismi del suolo è quello con le micorrize. Il nome significa “fungo della radice”. Sono infatti funghi che vivono in simbiosi con le radici di diverse piante, alcuni all’esterno e altri anche all’interno dei tessuti radicali. Sono in simbiosi, cioé c’è uno scambio vicendevole e non dannoso fra i due organismi. I funghi prendono soprattutto i carboidrati prodotti dalla pianta, mentre aiutano la vite nell’assorbimento di acqua e nutrienti del terreno. Per i loro bisogni le micorrize possono consumare fino al 4-20% della produzione fotosintetica della pianta. All’inizio hanno un effetto negativo, finché non si stabilisce un equilibrio ottimale.

Nel disegno: in marrone ci sono gli organi della micorriza interna, in verde le parti della pianta.

Il fungo ottimizza l’assorbimento della pianta perchè le sue ife sono lunghe (20 mm anche) e molto più sottili delle radici, che sono fino a 500 o 1000 volte più spesse. Riescono quindi a penetrare nei pori tra le particelle del terreno dove le radici non riescono ad arrivare. La loro presenza aumenta la capacità di assorbimento per la pianta di acqua, di alcuni elementi minerali (come i fosfati o il ferro). Si è visto anche che incrementano la sua resistenza alla salinità, ai metalli pesanti come il rame, così come la resistenza ad alcune malattie e altre avversità. Si ipotizza una loro azione anche nella regolazione ormonale della vite, ma sono aspetti ancora in via di studio. La colonizzazione delle radici da parte di questi funghi non avviene però sempre: è condizionata da numerosi fattori, soprattutto dalle caratteristiche del suolo. La loro presenza, per esempio, cambia col pH: diminuiscono nei suoli più acidi. Sono assenti nei terreni molto secchi, salini o con ristagni d’acqua, con fertilità troppo alta o, viceversa, troppo bassa.

Sulla base di questi studi, c’è chi propone l’inoculo artificiale delle micorizze nei suoli delle vigne. Secondo gli esperti questa pratica è poco utile. Si è visto infatti che se le condizioni del suolo sono adeguate, le micorrize colonizzano molto facilmente le viti in modo naturale. Se le condizioni di suolo sono invece sfavorevoli, le micorizze inoculate morirebbero comunque. La presenza di questi funghi è quindi un vantaggio intrinseco dei suoli migliori per la viticoltura. Noi possiamo cercare di ottimizzarla con una cura adeguata del suolo e con le pratiche di agroecologia (vedi qui), ma solo comunque se le condizioni sono favorevoli alla loro presenza.

Armillaria mellea

Nel terreno vivono anche organismi che possono attaccare le radici con effetti drammatici. Alcuni sono più conosciuti, altri meno, sempre per la difficoltà intrinseca dello studio del mondo sotterraneo. Al di là della nota fillossera (sconfitta in passato grazie all’uso di portinnesti resistenti, vedi qui), ci sono anche altri insetti (coleotteri, nematodi, larve di emitteri) che, direttamente o come vettori di virus, possono causare deperimenti delle viti, a volte fino alla morte della pianta. Ci sono poi numerosi funghi che causano marciumi radicali, come alcune specie dei generi Phytophthora, Pythium, Armillaria, ecc. Sembra che anche il famigerato mal dell’esca, che causa la morte di tante viti nelle vigne, sia legato a funghi del suolo. Purtroppo, come l’esperienza ci già ha insegnato con la fillossera, mentre è relativamente semplice studiare e contrastare un patogeno che attacca la parte aerea della vite, diventa molto più complicato se succede nel suolo. Le nostre risposte migliori, per ora, vengono dalla prevenzione della diffusione dei contagi con controlli nei vivai, nella ricerca di resistenze genetiche e nella cura del suolo della vigna.

Dove le radici si sviluppano

Si tende spesso a raccontare, poeticamente, che le radici scendono nella profondità della terra anche per decine di metri. In parte è vero: la vite è una delle piante legnose le cui radici scendono più in profondità, ma è anche vero che molto difficilmente ci sono suoli così profondi (sotto c’è la roccia madre, impenetrabile dalle radici).

Ad ogni modo, si è visto che le radici tendono a svilupparsi e ad occupare principalmente gli spazi di suolo dove trovano le condizioni migliori in relazione all’acqua, alla temperatura e all’aria. Di media, senza altre limitazioni, preferiscono le zone umide ma non stagnanti (dove morirebbero per asfissia), calde ed arieggiate.

La direzione di crescita delle radici è guidata da due forze principali: la ricerca dell’acqua (idrotropismo) e dei nutrienti minerali (chemiotropismo). Più la falda acquifera è superficiale, più le radici staranno in superficie. La radice della vite avverte la profondità a cui si trova e cambia la sua direzione preferenziale di crescita. Si è visto che le radici più in superficie tendono a crescere verso il basso. Quelle più in profondità, se possono, preferiscono espandersi lateralmente, perché non amano gli strati più profondi asfissianti. Le radici ancora più profonde, se possono, tenedono a crescere verso l’alto. Nel tempo e si sono le condizioni opportune, tutte le radici tendono a stabilizzarsi allo stesso livello ottimale, che può essere variabile ma comunque relativamente vicino alla superficie: non è troppo superficiale (per il rischio di essicazione), non è troppo profondo (per il rischio di asfissia).

L’elemento che più condiziona la naturale propensione di crescita della radice della vite è la struttura fisica del suolo. Le differenze dei suoli condizionano notevolmente la capacità di formare un apparato radicale ottimale, con effetti importanti e dimostrati sulla crescita delle piante e sulle caratteristiche dell’uva e del vino. Soprattutto, influiscono molto sulla necessità della pianta di avere a disposizione abbastanza acqua nei momenti di crescita.

La profondità del suolo è uno degli elementi più importanti in viticoltura, perché garantisce il pieno sviluppo dell’apparato radicale. Suoli poco profondi sono limitanti: la radice può espandersi poco, può non riuscire a raggiungere falde acquifere o zone ricche di minerali. L’altro elemento fondamentale è la sua morbidezza. Più il suolo è compatto, più rallenta la crescita e si riduce la ramificazione della radice, fino a poter diventare una vera e propria barriera impenetrabile. Le radici avanzano solo se le dimensioni dei pori sono adeguate o se ci sono crepe o altre vie. Ad esempio, crescono bene negli spazi lasciati da precedenti radici morte, nei passaggi scavati dai lombrichi, ecc. Invece si bloccano quando incontrano strati duri, come zone argillose compatte o concrezioni di ferro. Quando incontrano una zona sfavorevole, tendono a ramificarvi sopra ed intorno. La tessitura del suolo fa cambiare la capacità di penetrazione e la densità radicale. Suoli grossolani, con più sabbia, determinano di media una maggiore allungamento ma minor densità radicale. Una tessitura media (limosa), fa diminuire la penetrazione ma determina una maggior densità. Terreni fini (argillosi), invece, riducono ancor di più la penetrazione, mentre la densità non varia più di tanto. Ognuna di queste caratteristiche può essere un vantaggio o meno a seconda del proprio ambiente, della disposibilità di acqua o delle varietà utilizzate. In un terreno eterogeneo, le radici si andranno a distribuire in modo diverso a seconda della natura degli strati, più o meno favorevoli all’espansione radicale.

La chimica del suolo sembra invece un po’ meno importante, se non per una diversa sensibilità al pH che mostrano i diversi portinnesti. Sotto a 5 è limitante po’ per tutti. Il numero di radici fini è influenzato positivamente dalla fertilità del suolo, anche se la vite ha un chemiotropismo accentuato, per cui riesce a crescere bene anche in terreni poveri.

Il suolo è l’elemento più determinante. La genetica del portinnesto sembra influenzare soprattutto la densità radicale. I portinnesti più resistenti alla siccità sono quelli che hanno maggior densità e distribuzione delle radici. Quelli con radici più piccole e sottili sono invece i più esposti al rischio di siccità.

Quindi, in un clima mediterraneo, con suolo profondo, la massa principale delle radici si concentra mediamente nella fascia fra i 25 ed i 55 cm di profondità. Questa zona può variare in relazione a diversi fattori. Il clima, ad esempio, è importante: dove è più fresco tendono a stare un po’ più in superficie, dove è più caldo più in profondità.

Questo schema fa capire come si distribuiscono in genere le radici, se non hanno altri impedimenti. Sono poche o assenti negli strati più superficiali e in quelli più profondi. La massa principale sta in una fascia fra i 25 e il 60 cm circa.

La parte più superficiale del suolo, sopra i 25 cm, ha in genere meno radici per diverse ragioni. Si tratta di una zona che può essere troppo secca. In più, in questa fascia insistono le lavorazioni dei vignaioli, che hanno un effetto distruttivo. Inoltre, subiscono anche la competizione con le eventuali specie vegetali di copertura.

Anche gli strati più profondi sono i meno interessati dalla massa radicale. È vero che le radici possono scendere a grandi profondità, se il suolo è abbastanza profondo o lascia spazi di passaggio. Proprio in questa capacità sta la grande resistenza agli stress idrici della vite. Tuttavia si parla di una parte minoritaria, perché sono situazioni comunque al limite in quanto le radici sono sensibili alla carenza di aria (sotto il 10%, muoiono in poco tempo). C’è, tuttavia, una diversa capacità dei portinnesti a resistere all’asfissia radicale.

Per cercare acqua, se possono, le radici si espandono preferibilmente lateralmente, anche per diversi metri. Si sovrappongono anche liberamente con quelle delle viti vicine, anche se l’80% si concentra nello spazio della singola pianta. La sovrapposizione ha comunque l’effetto di diminuire il vigore, come si può facilmente vedere dal fatto che le viti di testa del filare sono sempre le più vigorose.

Come crescono nelle diverse fasi di vita della pianta e nel corso dell’anno

Le radici crescono di più o di meno in relazione alle condizioni ambientali, all’età delle piante e all’attività della chioma (la parte delle foglie).

Quando la vite è giovane, le radici si sviluppano molto e si ramificano proporzionalmente allo sviluppo della chioma (se questa non è potata). Questa fase, che dura circa 7-8 anni, è importantissima perchè è quella di massima elasticità. In questo periodo le radici delle viti si adattano alle condizioni locali di clima e suolo. Dopo questa fase non riusciranno a cambiare più di tanto il loro adattamento. Nell’età adulta l’allungamento medio è sempre più scarso: la dimensione della radice tende a stabilizzarsi, così come il vigore della chioma fuori terra. Nella fase di invecchiamento la vite raggiunge la massima complessità, ma le piante possono anche accusare i danni portati negli anni da parassiti ed altre avversità. Gli studi mostrati nello schema più in alto, che hanno confrontato viti adulte (12 anni) e molto vecchie (50 anni), hanno dimostrato che la vite vecchia ha una massa radicale più grande, ma si localizza più o meno nella stessa zona di quella adulta. Si riducono però le radici più profonde. Ad ogni modo, sembra che la forza di una vite vecchia possa essere compromessa più dai danni al tronco e alla parte aerea che non alle radici stesse, che in genere sono molto resistenti.

Ogni anno, più o meno rapidamente a seconda dell’età, le radici crescono e, soprattutto, rinnovano le parti più sottili ed assorbenti. Questa crescita non avviene in continuazione, ma in momenti particolari. Si è visto che la crescita radicale si ha quando la pianta ha un’ottima disponibilità dei prodotti della fotosintesi. Questa crescita non parte subito col germogliamento, ma dopo alcune settimane. Per i climi più freddi può iniziare anche 10 settimane dopo. Dopo di che, ci sono picchi e rallentamenti che variano con il clima. A grandi linee, si sono individuati due comportamenti principali:

  1. nelle regioni più calde, in quelle mediterranee e soprattutto nell’emisfero meridionale, si trovano due picchi, uno durante la fioritura, quando la crescita dei germogli rallenta, e un secondo minore dopo la raccolta.
  2. nelle regioni con clima più moderato, la crescita è più lenta e continua e raggiunge un picco a fine estate o alla vendemmia. Se le foglie restano attive dopo la vendemmia, la crescita continua comunque ancora per diverse settimane.
Questo schema ci da un’idea dell’andamento di crescita radicale nel corso dell’anno, anche se ci possono essere diversità in relazione al clima (attenzione, le date si riferiscono all’emisfero australe). La crescita parte diverse settimane dopo il germogliamento (budding). Raggiunge il picco alla fioritura (flowering), poi rallenta notevolmente nel periodo di maturità del grappolo e dopo l’invaiatura (veraison). Ricresce poi, con un picco dopo la vendemmia (harvest), nel corso delle fase che chiamiamo “agostamento”, quando la vite inizia ad accumulare molte scorte, che le serviranno per supportare il futuro risveglio primaverile.

In autunno e soprattutto in inverno molte radici muoiono, in particolare quelle più sottili, per il gelo, i marciumi, danni causati da parassiti vari, ecc. Inoltre, con l’innalzamento della falda freatica, parte dell’apparato radicale può andare sott’acqua e muore per asfissia. L’immersione può essere sopportata solo dalle radici più grandi e permanenti, quando sono nella fase di dormienza e tutti i processi sono limitati. Tante nuove radici sottili ed assorbenti verranno riformate nel corso della primavera successiva, come già spiegato.

Continua …