Nei libri sulla storia del vino il Seicento è ricordato soprattutto per la nascita dello Champagne, il vino più famoso al mondo con le bollicine. In realtà, come vedrete, lo spumante è da considerarsi più un prodotto del Settecento ma ormai è la consuetudine. Invece il Seicento è stato sicuramente il secolo in cui il territorio vinicolo della Champagne è emerso prepotentemente in Francia, quando ancora produceva vini fermi, completando la triade Borgogna-Bordeaux-Champagne che ancora oggi domina i sogni enologici di tanti appassionati. 

Avrete sicuramente letto o sentito che la nascita dello spumante Champagne è legata alla figura del monaco Dom Pérignon. Questo personaggio storico è diventato un vero e proprio mito in Francia. A lui vengono attribuite molte altre “scoperte”: il miglioramento della coltivazione delle viti, la vinificazione delle uve nere in bianco, l’assemblaggio migliorativo fra le diverse partite con la co-fermentazione di uve scelte, l’affinamento in bottiglia, l’uso del tappo in sughero, … Forse un po’ troppo per una sola persona.

Dom Pérignon fu responsabile della produzione nell’abbazia di Hautvillers dal 1668, per qualche decennio. Secondo lo storico del vino francese Roger Dion, è troppo presto rispetto alle reali tempistiche della nascita dei vini spumanti, come vedrete di seguito. In realtà stiamo parlando di una serie complessa di evoluzioni tecnico-produttive che sono derivate dal progresso generale del settore, in un percorso molto lungo. Tuttavia è comprensibile che sia molto più affascinante personificare tutto questo nella figura di un singolo uomo geniale. Dom Pérignon ormai è un mito impossibile da scalfire!

Statua di Dom Perignon, Épernay, Champagne.

La Champagne prima dello Champagne.

Come ho già accennato, il territorio della Champagne si è imposto in Francia per il vino prima di iniziare a produrre lo spumante. Avvenne molto più tardi di Borgogna e Bordeaux che (come ho raccontato nel post precedente) iniziarono a conquistare posizioni di privilegio fin dal tardo Medioevo. La zona della Champagne si mise in evidenza nel Seicento, con la definitiva consacrazione nel Settecento. Il suo successo ha un forte legame col periodo di regno del Re Sole, Luigi XIV.

La fortuna della Champagne nacque per un concatenarsi di eventi, sia politici che tecnici. Da un punto di vista produttivo, la sua fortuna trova le origini nel successo dei vini “chiaretti” del tardo Rinascimento (ricordate?). Come ho già raccontato, i miglioramenti tecnici del Cinque-Seicento scavarono un solco sempre maggiore fra la massa dei vini scadenti ed i pochi di maggiore qualità. L’affinarsi delle tecniche portò questi ultimi verso prodotti sempre più leggeri ed eleganti, sempre meno colorati, in antitesi rispetto ai tenebrosi e pesanti vini rossi del passato (i “vini che si bevono con gli occhi“), rimasti ormai per il consumo del popolo. Il gusto dell’alta società si spostò su vini sempre più chiari, fino al predominio dei bianchi, che assunsero un’aurea di maggiore “nobilità” rispetto ai rossi. Anche le uve nere iniziarono ad essere vinificate in bianco, senza colore. Così nacquero i famosi vins gris” champagnotti del Seicento, di cui ho già raccontato.

Tuttavia, non poteva mancare (di nuovo) la politica. La viticoltura era arrivata in Champagne con i Romani nel IV sec. d.C. Nel Medioevo era presente una piccola produzione concentrata nelle abbazie. La fortuna iniziò alla fine del Cinquecento soprattutto grazie alla potente famiglia Brûlart, marchesi di Sillery. Essi avevano le loro proprietà nel territorio della Montagna di Reims. La tradizione viti-vinicola era talmente radicata che compariva nel loro stemma, raffigurante un tralcio di vite attorcigliato e delle piccole botti. La scalata al potere culminò con la nomina di Nicolas Brûlart a Cancelliere di Francia nel 1607.

La Montagne de Reims oggi

L’azione “promozionale” del loro vino fu classica per il tempo. Il potere permise loro di far leva sull’influenza dei medici di corte, così da introdurre i vini sulla tavola reale. Li fecero inserire nelle liste dei riconoscimenti ufficiali, spingendo invece perché fossero tolti quelli dei concorrenti diretti. Nel 1578, per la prima volta, il vino della Montagna di Reims compare in una lista ufficiale dei prodotti più blasonati. Nel 1600 figurano, per la prima volta indicati con la dicitura di “vini della Champagne”, nel trattato d’igiene dell’influente medico reale Nicolas Abraham de La Framboisière (non a caso preside della facoltà di medicina di Reims). Era solo l’inizio di un successo in crescendo.

La definitiva consacrazione, secondo il famoso enologo Ottocentesco Jean-Antoine Chaptal, avvenne quando vennero serviti all’incorazione di re Luigi XIV (1654). La moda dilagò e tutta la buona società parigina esprimeva la preferenza per i vini della Champagne, parteggiando per l’uno o l’altro. Tale successo arrivò ad intaccare la posizione dei vini di Borgogna, fino ad allora i vini per eccellenza del re e della nobiltà francese. Scoppiò quindi una feroce guerra fra questi due territori, come accennato nel post precedente, soprattutto da parte dei borgognotti, che vedevano in pericolo il loro primato. Diversi medici della Borgogna pubblicarono libelli che sottolineavano la maggiore salubrità dei loro vini. Un umanista borgognotto pregò in una lettera il più influente medico reale di allora, Guy-Crescent Fagon, di prescrivere al re il consumo dei vini di Borgogna al posto di quelli della Champagne, che chiama con disprezzo “Silleria uva” (dal latino, l’uva di Sillery). Non fu ascolato. Ormai il sorpasso era avvenuto.

La moda parigina si propagò anche alla nobilità inglese nella seconda metà del Seicento. Come vedrete nel prossimo capitolo, questo passaggio sarà fondamentale per la nascita del vino spumante.

Il pranzo del re Luigi XIV con Molière a Versailles, rifacimento di un dipinto da parte di Ingres, 1832, Wikipedia.

Come in ogni epoca, l’alta società ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione della nuova moda vinicola. L’esempio più noto per la Champagne è rappresentato dallo scrittore Charles de Saint-Evremond, caduto in disgrazia alla corte francese e trasferitosi a Londra nel 1662. Nelle sue lettere racconta agli amici francesi di come si fosse prefissato di svolgere la funzione di ambasciatore dei vini della Champagne in Inghilterra. In particolare, in una lettera del 1674 al conte di Olonne, scrive che bisogna darsi da fare per trovare dei personaggi storici che facciano da garanti illustri per la Champagne, così come Filippo il Temerario lo era stato per i vini di Borgogna. Quindi afferma, scherzosamente, di aver scoperto che papa Leone X, Carlo V, Francesco I e Enrico VIII avevano tutti proprietà ad Ay o nei dintorni (nella Champagne) per potersi approvvigionare del vino locale. Scrive: “Parmi les plus grandes affaires du monde qu’eurent ces grands princes à démeler, avoir du vin d’Ay ne fut pas un des moindres de leurs soins.” (“Tra i grandi affari del mondo che questi grandi principi dovevano sbrogliare, avere il vino di Ay non era l’ultima delle loro preoccupazioni”).

 

Fatto sta che dal 1662 i prezzi dei vini prodotti intorno a Reims e Epernay si alzarono in modo straordinario. Nel 1680-1690 il solo nome Champagne evocava fortune immense. Ad inizio Settecento il territorio divenne esportatore di vini illustri, che i mercanti si disputavano a prezzi che erano il doppio o il triplo dei migliori Borgogna. Come sempre per allora, non era un successo diffuso, ma dominato dalle proprietà più ricche e potenti, come quelle di Sillery o l’abbazia di Hautvillers che, come scrive Nicolas Bidet* nel 1759, erano i più apprezzati dalla corte e destinati al consumo del re.

Nel frattempo, avvenne anche il cambio nella produzione, col passaggio dai vini fermi a quelli frizzanti, nati in realtà per sbaglio, come vedremo ora.

 

Un vino nato per sbaglio

Chi si occupa di cantina sa fin troppo bene che non è così difficile fare un vino più o meno frizzantino. Anzi, fino a non molto tempo fa era un “difetto” abbastanza comune, per via di rifermentazioni involontarie del prodotto. La parte più complicata della nascita dei vini spumanti è stata mettere a punto una tecnica in grado di generare un prodotto piacevole e stabile nel tempo.

La nascita di quello che oggi chiamiamo metodo classico o metodo tradizionale o “champenoise fu un lungo processo, iniziato fra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento, ma che richiese ancora diverso tempo per essere perfezionato.

 

I vini più o meno frizzanti erano già prodotti ed apprezzati dai Romani. Il medico Gerolamo Conforti da Bescia scrive nel 1570 il “Libellus de vini mordaci”, in cui testimonia la produzione di vini frizzanti (detti allora “mordaci“) in Italia ed in Francia. Il “Trattato de’ cibi e del bere” (1589) del bolognese Baldassare Pisanelli ne racconta la produzione dalle epoche antiche e al suo tempo, in Piemonte. Andrea Bacci, a fine Cinquecento, racconta di vini “dilettosamente mordenti, di soave odore e spumanti per auree bollicine qualora si mescano e versino nei bic­chieri”, fra cui il Coda di Cavallo prodotto nel napoletano. Nel 1622 il medico marchigiano Francesco Scacchi pubblica un trattato tecnico che descrive (per la prima volta in epoca moderna) la produzione dei vini frizzanti. Li descrive come “il vino dal bollore interrotto”. Nel Seicento si trovano poi molte più testimonianze.

Il vino dal “bollore interrotto” è la definizione più poetica ma che spiega anche il processo originario di nascita. La fermentazione del vino (il “bollore” si diceva al tempo) in passato si bloccava spesso per le cattive condizioni di produzione. Il blocco faceva sì che rimanesse nel vino un residuo di zucchero dell’uva non fermentato. Nei territori con i climi più freddi, come la Champagne, questo succedeva spesso, per l’abbassarsi delle temperature nel corso dell’autunno. Oggi sappiamo che i lieviti sono inibiti dal freddo. Anche se non lo sapevano spiegare, già i Romani avevano imparato ad usare il freddo per indurre volutamente tale blocco.

Che il blocco fosse voluto o meno, quando il vino si scaldava a sufficienza i lieviti ricominciavano a fermentare il residuo di zucchero rimasto. In questo modo si libera anidride carbonica. Così il vino diventava frizzantino nelle botti dove era trasportato e conservato. Ricominciava a “bollire“, come si diceva allora (quando di lieviti non si sapeva ancora nulla). Questa effervescenza poteva più o meno conservarsi fino alla coppa del bevitore. Di fatto non durava molto, perchè le botti non permettono di mantenerla a lungo. Poteva piacere più o meno, essere più o meno desiderata. Spesso all’epoca era vista come un difetto inevitabile e trascurabile.

Gerrit Van Honthorst, Il violinista ebbro (1623), Madrid, Museo Thyssen Bornemisza

La nascita di una tipologia specifica di vino poté avvenire solo grazie all’introduzione dell’uso della bottiglie in vetro. Più o meno dagli anni ’60 del Seicento si mise a punto in Inghilterra una tecnica di lavorazione del vetro che consentì di produrre bottiglie su più larga scala, anche se rimanevano ancora contenitori costosi. Dal 1675 si perfezionò anche l’uso dell’ossido di piombo, che rendeva le bottiglie più resistenti. I commercianti inglesi di vini di lusso furono i primi che iniziarono ad imbottigliare i vini di pregio per i loro facoltosi clienti, dopo che le botti erano arrivate nei loro magazzini.

Come detto, i vini della Champagne avevano raggiunto un grande successo verso la fine del Seicento in Inghilterra. Erano soprattutto vini bianchi e i cosidetti “vin gris“, vini delicati che non traevano grande beneficio dallo stare troppo a lungo in legno. I commercianti iniziarono quindi sempre più a metterli in bottiglia. L’effervescenza, chiusa in bottiglia, iniziò a diventare una caratteristica non più così fugace, anche piacevole. Nel quarto atto della commedia “The man of mode” (1676) di Georges Etherege si dice che il vino di Champagne “getta scintille”. Georges Farquhar (in “Love and Bottle“, 1676) scrive che le bollicine dello Champagne gli ricordano le battute e le belle parole di un uomo di spirito.

 

L’esplosione della moda e il perfezionamento

La produzione, iniziata in modo involontario, iniziò a diventare voluta. Era però ancora molto primitiva e costosa. Era un processo assolutamente casuale, basato sui resti spontanei di zucchero e lieviti rimasti inattivi. La ri-fermentazione in bottiglia era quindi molto variabile, così come erano più o meno fragili le singole bottiglie e le relative chiusure. Solo alcune bottiglie venivano bene. Alcune rimanevano praticamente prive di bollicine, altre invece scoppiavano per la troppa pressione. Inoltre, il vino restava torbido (per i resti dei lieviti), il che non era molto apprezzato dai ricchi clienti.

Ad inizio Settecento il vino iniziò quindi ad essere reso limpido col travaso in una nuova bottiglia, lasciando il torbido sul fondo della prima. In questo travaso si perdeva però molta anidride carbonica, per cui erano vini con molte meno bollicine rispetto ai nostri standard. Ci vorrà ancora molto tempo prima di mettere a punto tutto il processo. La limpidezza fece però apprezzare sempre più questo vino. La moda dello Champagne frizzante si diffuse anche nell’alta società francese.

Intanto, nel 1724 i produttori della Champagne ottenero l’autorizzazione ufficiale a spedire il vino per l’esportazione direttamente in bottiglia, non più in botti, iniziando a prendere il controllo di tutta la fase produttiva. Il Settecento fu il secolo della consacrazione del mito: ormai era il vino assolutamente preferito alla corte del re e della nobiltà. Si continuò comunque a cercare di migliorare il prodotto.

particolare di “Il pranzo di ostriche di Jean-François de Troy (1734). Si tratta della prima raffigurazione pittorica dello Champagne.

 

Nei primi decenni dell’Ottocento venne messo a punto il cosiddetto remuage che permette di avere un vino limpido senza però perdere troppe bollicine. Questa tecnica consiste in un lungo lavoro nel corso del quale le bottiglie vengono inclinate e ruotate per mesi su particolari cavalletti (detti pupitres). Al termine di questa procedura la bottiglia arriva ad essere in posizione capovolta, il torbido si è raccolto tutto nel collo, subito dietro al tappo, e il vino è limpido. A questo punto la bottiglia viene aperta, la feccia viene eliminata e rapidamente si ritappa. Questa operazione, detta sboccatura (dégorgement), venne perfezionata ancora di più nel 1881, con l’introduzione del Processo Binet (dal nome del produttore che lo ha inventato, Armand Walfard-Binet). Si basa sull’uso del freddo per ghiacciare il collo della bottiglia, riuscendo così a limitare al massimo ogni perdita indesiderata di bollicine.

Il remuage e la sboccatura in un’illustrazione di inizio novecento (l’ho trovata sul sito dell’azienda Delozey, https://delozey.com/blogs/conseils/histoire-origine-du-champagne

La sboccatura fa perdere però una piccola parte di vino, che deve essere aggiunto per colmare la bottiglia prima di rimettere il tappo. Nel corso dell’Ottocento, per migliorare il gusto del prodotto, iniziò anche il cosiddetto dosaggio (“dosage“). In questo caso la colmatura viene effettuata con una mistura, detta “liqueur d’expedition”, fatta di di zucchero, aromi, vino o liquori. Il dosaggio arricchisce il gusto del vino e può aggiungere un po’ più di alcool (all’epoca ancor più necessario di oggi). L’aggiunta zuccherina serve soprattutto per attenuare l’acidità che è intensa per questa tipologia di prodotto, ancor più accentuata dall’anidride carbonica. Ogni azienda ha ricette personali e segrete. Se si colma solo col vino, si dice che lo spumante è pas dosé” (non è dosato).

Verso la fine dell’Ottocento, quando ormai si erano comprese le basi del processo bio-chimico della fermentazione, si cercò di rendere più regolare e controllato il momento della formazione delle bollicine in bottiglia, la cosidetta “presa di spuma“. Si iniziò a non imbottigliare più il vino in fermentazione (“il bollore interrotto” delle origini), ma un vino finito, completamente fermentato, a bassa gradazione alcolica*. Per far avvenire la seconda fermentazione, al vino sono aggiunte quantità studiate di zuccheri e lieviti. Il processo si chiama tiraggio, “tirage” e la mistura aggiunta è detta liqueur de tirage“.

* bassa gradazione perchè, essendoci una seconda fermentazione in bottiglia, non si vuole raggiungere un grado alcolico finale troppo elevato.

L’uso di un vino finito come base per lo spumante ha consentito la nascita di tante tipologie diverse. Si iniziò a non usare più solo il vino dell’ultima vendemmia, ma anche un vino invecchiato oppure (come accade spesso) tagli fra diverse annate, per creare equilibri di gusto particolari. Lo spumante fatto col vino di una sola annata (per legge oggi almeno l’85%), indicata in etichetta, è detto millesimato.

 

Queste innovazioni tecniche si diffusero anche nel resto d’Europa, Italia compresa, soprattutto dalla seconda metà dell’Ottocento. Arrivarono in territori dove spesso già si producevano vini frizzanti, con metodi più primitivi, oppure si introdusse la novità. Ogni territorio ha poi sviluppato produzioni che si sono caratterizzate in modo diverso. La figura qui sotto riassume le fasi principali del metodo classico odierno.

 

Le fasi principali del metodo classico definitivo. L’immagine è presa da Quattrocalici https://www.quattrocalici.it/conoscere-il-vino/metodo-classico/

 

La nascita del metodo Martinotti-Charmat e le differenze.

Nella seconda metà dell’Ottocento, momento di grande sviluppo dell’industria enologica, si cercò a lungo di mettere a punto un sistema di produzione per gli spumanti alternativo al metodo classico, perché era molto costoso e richiedeva tempistiche troppo lunghe. Inoltre, rimaneva ancora aperta la problematica della differenza fra bottiglia e bottiglia, anche se minore rispetto all’origine. 

Nacque così ad inizio Novecento il metodo MartinottiCharmat o italiano. In breve, con questo sistema la seconda fermentazione, la presa di spuma, non avviene più in bottiglia, ma in una vasca metallica a tenuta di pressione (autoclave), cioé in grado di non far disperdere l’anidride carbonica prodotta. Il vino è reso limpido grazie al freddo, che fa depositare i torbidi sul fondo (o viene filtrato). Il vino è poi dosato (o meno) e, in seguito, è imbottigliato sotto pressione. 

Il percorso per arrivarci fu lungo, dopo diversi tentativi infruttuosi. Uno dei primi tentativi è attribuito all’enologo francese Edme Jules Maumené che nel 1856 fece la presa di spuma dentro ad una vasca cilindrica di rame argentato, che chiamò “afroforo”. Da qui spillava il vino e lo imbottigliava, dopo aver atteso che la feccia si fosse depositata naturalmente sul fondo. Nel 1895 l’enologo italiano (piemontese) Federico Martinotti ideò e brevettò un sistema in continuo di produzione, basato su delle vasche a tenuta di pressione messe in fila, raffreddate con un sistema a serpentina. Nella prima avveniva la seconda fermentazione, nella seconda il vino era stabilizzato col freddo e filtrato, nell’ultima c’era l’aggiunta della “liqueur d’expedition”. C’erano però diversi problemi applicativi all’epoca insormontabili, come ad esempio il rivestimento interno dei contenitori per resistere all’acidità del vino. Non scendo in dettagli, ma questa prima idea fu la base per il perfezionamento tecnologico messo a punto dal francese Eugéne Charmat, circa 15 anni dopo, che rese finalmente operativo il sistema. Da qui deriva il doppio nome, Martinotti-Charmat.

da https://www.destinazionemonferrato.it/il-monferrato-nellepopea-dello-spumante-italiano-parte-iii-di-iv/

 

In seguito divenne sempre più chiaro che i due sistemi, il metodo classico e quello italiano, non erano poi così alternativi. Si è visto nel tempo che originano vini con caratteristiche molto diverse, oltre che sono adatti ad esaltare le qualità di vitigni diversi. Sono divenuti tipici di diverse zone produttrici. Ad esempio, la Champagne e la Franciacorta producono i vini con il medoto classico, mentre il Prosecco e l’Asti utilizzano il metodo italiano.

Gli spumanti prodotti col metodo italiano sono più tenui nel colore, fruttati, freschi e fragranti. Il sistema è particolarmente adatto per esaltare gli aromi primari di uve aromatiche (cioé quei vitigni che hanno già nel frutto una gamma di aromi tipici, che si conservano nel vino). Il medoto classico invece è adatto per i territori che coltivano varietà di uve non aromatiche, perché porta alla produzione di vini più evoluti, dove diventano importanti soprattutto gli aromi che nascono nel corso della fermentazione e della permanenza del vino in bottiglia sui lieviti (detti aromi secondari e terziari). Questi aromi complessi comprendono sentori di crosta di pane, lievito, pasticceria, formaggino, frutta secca … 

 

Qualche infarinatura di legislazione odierna

Ho in parte volutamente (ed in parte no) mescolato i diversi termini ma oggi la legge europea definisce in modo molto preciso le diverse categorie di prodotto, in relazione alla presenza di anidride carbonica. Tutti i vini che contengono anidride carbonica sono indicati come vini effervescenti. Possono essere chiamati spumanti solo quelli che hanno un contenuto in anidride carbonica di almeno 3 bar. Sono quelli che formano molta spuma e hanno numerose bollicine che persistono nel bicchiere. I vini meno effervescenti, che hanno un contenuto di anidride carbonica fra 1 e 2,5 bar, possono essere indicati in etichetta come frizzanti. Formano un po’ di spuma quando sono versati nel bicchiere e hanno poche bollicine. I vini che hanno un contenuto ancora minore, detti in generale vini mossi, non hanno particolari indicazioni di legge. Sono quelli in cui si sente solo un leggero pizzicore.

I vini spumanti vengono classificati in etichetta per il residuo zuccherino contenuto, che può derivare da resti della seconda fermentazione e/o dall’aggiunta della “liqueur d’expedition“, nel seguente modo.

Denominazione Residuo zuccherino (g/L)
Pas dosé o Dosaggio zero
Extra brut
Brut
Extra dry
Dry o  Demi Sec
Sec
Dolce o Doux
minore di 3
minore o uguale a 6
minore di 12
12-17
17-32
32-50
maggiore di 50

All’inizio di questa scala il vino non è effetivamente dolce, anche se contiene un po’ di zucchero. La sua presenta aumenta solo la sensazione di rotondità in bocca e, soprattutto, smussa l’acidità. Si inizia a sentire una sensazione reale di dolcezza con il Dry (o Demi Sec), anche se tali sensazioni sono abbastanza soggettive. Diventa decisamente dolce dai 50 mg in su.

Avrete sicuramente visto che negli ultimi anni si è diffuso un altro sistema di produzione di vino effervescente, detto ancestrale o tradizionale. Al momento non ha una regolazione di legge, per cui questa definizione non si potrebbe scrivere in etichetta. Riprende semplicemente, in chiave moderna, il sistema di produzione primordiale, prima dei perfezionamenti dell’Ottocento. Il “bollore” viene interrotto col freddo e poi il vino viene imbottigliato. In genere non viene fatta nessuna aggiunta di lievito e zucchero, ma è a discrezione dell’azienda. Poi, col calore, si induce la ripartenza della fermentazione in bottiglia. La bottiglia rimane torbida perchè non viene fatta la sboccatura. Lo sviluppo di bollicine è più limitato del metodo classico, per tanto questi vini rientrano in genere nella categoria dei vini frizzanti. Al gusto sono molto complessi e ricchi, con sentori di lievito molto intensi.

Infine, ricordiamo anche i prodotti meno “nobili”, cioé i vini effervescenti che nascono da un vino fermo a cui semplicemente vengono aggiunge le bollicine. Si deve però indicare in etichetta che il prodotto è “addizionato di anidride carbonica”. 

L’immagine di copertina è presa da https://daily.sevenfifty.com/the-growing-movement-behind-long-charmat-sparkling-wine/