In questi giorni, nel mondo del vino, c’è molta preoccupazione per i danni da gelo primaverile. Immaginate la rabbia e la disperazione di chi vede morire le gemme in una notte.  

Noi siamo in un territorio dove le gelate sono più che rare, ma avrete sicuramente visto le foto (poetiche) delle candele accese nelle vigne del centro Europa, soprattutto in Francia o Svizzera, per combattere i danni alla vigna.

Perchè succede? In questa stagione si può creare un fenomeno di inversione termica negli strati più bassi dell’atmosfera. Di notte la terra cede calore all’aria e, a livello del suolo, le temperature possono scendere anche drammaticamente.

Ci sono territori dove il rischio di gelata primaverile è veramente raro, come quelli mediterranei. Quando accadono questi eventi, diventa difficile correre ai ripari.

Nei territori a clima continentale, soprattutto quelli più nordici, questo fenomeno è più atteso e frequente. In particolare, in questi climi, il rischio maggiore si ha nel fondovalle e nelle pianure. La vigna era (ed è) troppo importante e così nella storia si è piantata un po’ ovunque, anche nei luoghi non propriamente perfetti per essa. I vignaioli di questi territori hanno storicamente sviluppato pratiche utili a contenere i danni da gelo primaverile. Vediamo di seguito quali sono. Tuttavia, oggi, spesso queste pratiche sono state abbandonate (perchè hanno prevalso altre necessità), ma così le vigne si trovano esposte maggiormente ai rischi.

Innanzi tutto, tradizionalmente si impiegavano varietà caratterizzate da un germogliamento tardivo. Inoltre, i vignaioli potavano il più tardi possibile. Infatti, il ritardo della potatura può contribuire a spostare un po’ più avanti il momento di risveglio della pianta. Anche le scelte agro-ecologiche, come la presenza di erba sotto le viti o di alberi e siepi fra le vigne, comuni in passato, limitano i danni da gelo.

Soprattutto, in questi territori, si usavano forme di allevamento a vite alta. Infatti, nelle gelate primaverili gli strati di aria più gelidi sono quelli più vicini al suolo, mentre la temperatura sale allontanandosi da esso. Passando da 0 a 2 metri di altezza, ci possono essere variazioni anche di 5 -10 gradi. Le forme alte di allevamento (come la tradizionale vite alberata, il Casarsa, i Raggi, il Belussi, la pergola, ecc.) sono sistemi perfetti per evitare, o almeno contenere, questi problemi. Oggi, se ci fate caso, le fiaccole sono accese in vigne basse.

Già nell’antica epoca romana si accendevano fuochi con i covoni di paglia o i sarmenti, come oggi si accendono fornelli di vario tipo o candele antigelo. Un altro sistema moderno è quello dell’irrigazione antibrina, cioè viene spruzzata acqua sulle viti (a patto di avere una buona disponibilità idrica). Il beneficio deriva dal fatto che l’acqua ha una temperatura più alta di quella atmosferica. Inoltre, in parte o tutta, può ghiacciare. Il passaggio dello stato fisico dell’acqua da liquida a solida è un fenomeno che libera calore. Infine, ancora più costoso, c’è il sistema di mettere nelle vigne degli alti ventilatori, che spingono verso il basso l’aria più calda. L’elicottero che a volte si vede, invece, credo che abbia funzione solo scenografica, perché passa di giorno, mentre il fenomeno dell’inversione termica è notturno.

Ad ogni modo, tutti questi sistemi sono poco sostenibili, perché consumano risorse ed emettono nell’atmosfera alti livelli di Co2. Usati in modo molto saltuario, possono essere utili, senza pesare troppo. Se il ricorso ad essi fosse troppo frequente, forse bisognerebbe porsi qualche domanda in più, su dove si sono fatte le vigne, sulle scelte fatte per le forme di allevamento, le varietà, …

La sostenibilità passa prima di tutto dall’ottima conoscenza delle migliori pratiche viticole per un certo tipo di territorio. Rimane comunque sempre un certo grado di imprevedibilità nel lavoro del vignaiolo (dell’agricoltore in generale). Per quanto possiamo essere bravi e previdenti, siamo sempre sottoposti ai capricci del tempo e della fortuna.