Proprio nel pieno del dibattito in Toscana su paesaggio e agricoltura, mi è capitato di legge uno studio* dell’Università di Firenze sui cambiamenti del paesaggio agricolo di Castagneto. Leggerlo mi ha fatto riflettere su come spesso si conosca molto poco la vera storia del territorio e come spesso si creino suggestioni che hanno poco a che fare con la realtà.

(* “Paesaggio rurale e sostenibilità: studi e progetti. Il ruolo del vigneto nel paesaggio di Castagneto Carducci fra l’Ottocento e l’attualità”, M. Agnoletti, S. Paletti, DISTAF – Facoltà di Agraria – Università di Firenze.)

Lo studio investe ben due secoli di storia locale. I ricercatori hanno potuto risalire fino ai primi anni dell’800, seguendo le modifiche fino ai giorni nostri, fotografando a confronto, in particolare, tre momenti storici: il 1820, il 1954 e l’attualità.

Innanzi tutto questo studio dimostra quanto sia cambiato il paesaggio di Castagneto e non solo negli ultimi anni. Seguire l’evoluzione di un territorio fa riflettere su come tutto scorra in modo inesorabile per dinamiche strettamente connesse alla storia delle gente che abita quelle terre e, anche, per cambiamenti economici più vasti.  Il territorio è in continuo movimento e non esiste un cliché prestabilito che faccia da riferimento immobile (all’Ottocento? Agli anni ’50?), a meno che non lo si voglia imporre con un atto del tutto arbitrario.

Ma allora cosa qualifica il paesaggio? Semplicemente la sua storia e la storia è data dai cambiamenti umani ed economici, da flussi spesso ingovernabili e impossibili da stabilire a priori. Certo qui si parla di evoluzione in agricoltura, non certo di abbandonare il territorio alla cementificazione selvaggia o altro.

La situazione attuale di Castagneto.

Infatti, dallo studio emerge che il Comune di Castagneto sia caratterizzato ancor oggi da una forte connotazione agro-forestale, nonostante le varie spinte (che ogni tanto riemergono) di urbanizzazione legate al turismo balneare. Anzi, gli autori sembrano suggerire che forse proprio il successo del vino Sassicaia (e il conseguente nuovo impulso al settore agricolo) ha salvato il territorio da una cementificazione troppo dissennata.

D’altra parte questo impulso ha anche introdotto un cambiamento paesaggistico evidente. Eppure i numeri rilevano che la viticoltura non è la monocultura dominante del territorio, anche se è quella che ha avuto il maggior incremento nei tempi recenti: su un totale di 5.890 ha (terreno agricolo) il 56% è dominato dal seminativo, seguito dall’ulivo (21,28%) e poi dal vigneto (18,77%).

I vigneti caratterizzano in modo importante alcune aree della zona pianeggiante, in modo meno rilevante quella collinare. A parte qualche singola situazione, in generale hanno un’estensione media abbastanza bassa (corpi unici di poco più di 7 ha), inframmezzati da altre colture, boschi o almeno da filari di ulivi, salvaguardando in genere una certa variabilità paesaggistica.

Oggi il vigneto ricopre 1105,5 ha di superficie, con un incremento dal 1954 di ben 11 volte ma di solo 7 volte rispetto al 1820 (il 1954 fotografa il minimo storico toccato dalla viticoltura a Castagneto, periodo problematico per la vite anche in tutta la Toscana, se non l’Italia intera).

Questo cambiamento è notevole ma non è comunque il primo. Seguendo la storia locale ci si accorge che ci sono stati mutamenti anche più importanti sul territorio, cambiamenti oggi accettati e considerati ormai come tratto tipico del paesaggio locale.

 

I grandi mutamenti del paesaggio.

Per via della palude (Maremma) nella zona pianeggiante verso il mare, le popolazioni locali per secoli hanno vissuto strettamente nella zona delle colline, dominate da boschi e da pascoli. Fino quasi all’Ottocento non ci sono state grandi variazioni: l’economia era per lo più legata alla pastorizia e all’uso dei boschi (legname e pascolamento animale), con poca agricoltura promiscua ristretta intorno ai nuclei abitati.

L’Ottocento ha visto l’aumento dei poderi collinari, quindi delle superfici agricole. Dal 1820, col calo dei prezzi del grano, vi fu un incremento della viticoltura, che da elemento marginale divenne complementare, occupando l’11% delle terre coltivate.

Dalla seconda metà dell’Ottocento iniziarono le bonifiche della palude (l’Alta Maremma), che permisero la progressiva colonizzazione della pianura litoranea.  L’interesse economico ed abitativo si spostò sempre più verso di essa, incidendo in modo significativo negli equilibri di collina fra territorio coltivato e quello boschivo.  Infatti in questa fase (1820-1954) i boschi si riappropriarono delle colline  via via “abbandonate” dall’uomo, riconquistando il 54% della loro superficie, a discapito di pascoli e aree coltivate. A questo fenomeno si accompagnò una progressiva diminuzione della viticoltura, a vantaggio della crescita esponenziale dell’ulivo in monocultura (+300% in tutta la provincia di Livorno).  Dal secondo dopoguerra la pianura era dominata dalle grandi estensioni dei cereali, dei frutteti e degli uliveti. La viticoltura raggiunse nel 1954 il suo minimo storico, con soli 7.8 ettari censiti, diminuita del 77% rispetto all’Ottocento.

La rimonta della vite ha le sue radici negli esperimenti del Marchese Incisa iniziati dagli anni ’40, ma vede un grande incremento solo con gli anni ’80 e, soprattutto, ’90 e primi del 2000. Arriva così a crescere di 11 volte rispetto al 1954, ma solo 7 volte di più del 1820.

 

Conclusione.

Sicuramente l’incremento della viticoltura, soprattutto degli ultimi 30 anni, ha inciso sul territorio di Castagneto. Non è il primo (ne sarà l’ultimo) dei cambiamenti di questo territorio.  L’agricoltura è un fattore economico, deve dare reddito e lavoro per sussistere. Nel tempo cambiano le condizioni e cambiano anche le colture redditizie.

Questo non può certo far passare sopra ad altri problemi reali, che sono comunque al primo posto anche per lo stesso mondo del vino.  La sostenibilità è ormai imprescindibile per il presente e il futuro di tutta l’agricoltura.